Si può far dialogare un repertorio tradizionale, anche se estremamente innovativo per i suoi tempi, come quello di Domenico Modugno, con una dimensione non solista ma strumentale, nutrita di sonorità jazz che vanno oltre la dimensione melodica? L’artista pugliese nel progetto “Uomini in frac” Omaggio a Domenico Modugno di Peppe Servillo e di Furio Di Castri, è stato riproposto in una veste rinnovata. Molte le complicità, oltre alla felice scelta di avvalersi di musicisti del calibro di Javier Girotto, Fabrizio Bosso, Rita Marcotulli e Mattia Barbieri, l’emozione è così ritornata ad animare il Teatro Verdi di Salerno, giovedì 9 maggio 2019. Pubblico da tutto esaurito, l’operazione, sin dalle prime note, è apparsa di grande fascino e originalità, mai avvertita come tradimento piuttosto come “frequentazione affettuosa”. Sufficiente il brano di apertura ed il sax soprano di Girotto, la tromba di Bosso, la chitarra elettrica di Di Castri, il pianoforte della Marcotulli e la batteria di Barbieri hanno riversato sulla platea sonorità di grande ritmo e intensità. Il ritornello di “Selene ene a” è aleggiato nell’aria, evocando anni pieni di twist, ottimismo e boom economico. I componenti del gruppo, cui si è aggiunta la meravigliosa voce di Peppe Servillo, hanno proseguito la loro formidabile cavalcata, con un serrato dialogo, strumentale e di accompagnamento, proponendo pezzi indimenticabili del ricco repertorio del Mimmo Nazionale. “Tu si na’ cosa grande” con sax e pianoforte, “Li minaturi” brano immerso nella vertigine interpretativa di Servillo e fiati in accompagnamento, una chitarra elettrica struggente a sottolineare “Strada ‘nfosa” ed il suo nostalgico addio, quindi lo stacco strumentale “Notte di luna calante”.
Il concerto fa rivivere, in una dimensione sonora arricchita, tutto l’emozionante universo musicale dell’artista pugliese, una miniera di creatività, riuscita ad imporsi grazie anche alla sua forza interpretativa.
Peppe Servillo che ripropone “L’uomo in frac”, in un gioco attoriale di grande presa scenica, mostra il comune denominatore tra due esperienze artistiche. “Lazzarella” “Amara terra mia” “Resta cu’ mme”, “Sole malato”, il leader del gruppo Avion Travel, attore impegnato ed artista completo, ha giocato con voce ed interpretazione su un terreno consono, grazie ad un repertorio versatile ed eclettico, passando dal comico al tragico, tra testi innervati da passioni e nostalgie, pessimismo e indomabile amore per la vita. Domenico Modugno è stato anche un innovatore nel linguaggio, nello stile e nelle sonorità, e lo spettacolo non ha potuto non andare in questo solco, in libere esplorazioni che certamente avrebbero incuriosito e stimolato il creativo artista pugliese. In scaletta non è mancata la canzone più celebre “Nel blu dipinto di blu” scritta con Franco Migliacci, nota in tutto il mondo come “Volare”, un successo internazionale con oltre ventidue milioni di copie vendute, tre Grammy Award nel 1959 come Canzone, Disco e Interprete dell’anno. Il pubblico in sala, diretto dal mitico Peppe Servillo, si è lasciato coinvolgere nell’esecuzione del ritornello, e questa questa sorta di inno nazionale tricolore ha scatenato entusiasmo e applausi prolungati. Un concerto esaltante, con intermezzi di dialogo diretto, in un gioco di luci straordinario, a suggellare sonorità, atmosfere ed emozioni, che si sono rafforzate nel finale, di grande effetto. Eseguiti “Lu pisce spada”, brano direttamente legato alla tradizione popolare e dei cantastorie, un tragico amore tra due pesci spada, la femmina catturata durante la mattanza esorta il compagno a salvarsi, che invece si lascia catturare per morire assieme. E poi “Cosa sono le nuvole” canzone che prende il nome dall’omonimo quarto episodio del film Capriccio all’italiana di Pier Paolo Pasolini, pezzo di una bellezza semplice e straordinaria. Peppe Servillo nella prima esecuzione è accompagnato dalle sole percussioni, intensa è la drammaticità interpretativa, nella seconda, di struggente lirismo, a suonare è l’intero gruppo tra cui spicca il sofferto sax di Javier Girotto. Un finale di grande coinvolgimento, che ha risposto all’interrogativo iniziale. Il jazz può davvero reinventare un classico, con emozioni che arricchiscono l’originale, nel concerto cui abbiamo assistito, semplicemente esaltandolo.
Marisa Paladino