Grigory Sokolov per il Bologna Festival

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Grandi Interpreti di Bologna Festival: una rassegna che continua ad elargire gemme musicali affidate alla sensibilità di musicisti di eccezione: al Teatro Manzoni, giovedì 2 maggio 2019 è la volta di Grigory Sokolov, un pianista russo che non ha bisogno, data la straordinaria notorietà, di alcuna presentazione. La tecnica strabiliante, la ricchezza nella tensione espressiva, la tenuta concertistica, la continua ricerca della perfezione (si sappia che lo strumento nei suoi concerti deve essere nuovo, con la meccanica rispondente alle sue esigenze, ossia un doppio scappamento velocissimo per realizzare al meglio trilli e abbellimenti e un’intonazione perfetta con accordatore sino all’ultimo minuto), solo per dire alcuni tratti del suo pianismo, lo rendono, a ragione, oggetto di culto, venerato da moltissimi fan.Anche in questo recital l’artista dopo i brani in programma ha continuato a suonare, sfoderando una sequenza di bis che hanno infiammato ulteriormente il pubblico osannante.

Ma andiamo per ordine. La prima parte è un’immersione nelle pagine di Ludwig van Beethoven che si apre con la imponente Sonata op.2 n.3 in Do Maggiore suddivisa in Allegro con brio, Adagio (Mi maggiore), Scherzo. Allegro (la minore), Allegro assai, concepita tra il 1794 e il 1795, di schietta improntata virtuosistica, con passaggi in terze, seste e ottave profusi in abbondanza, principalmente nei due movimenti estremi, ed uno splendido secondo movimento in cui, nella parte centrale, spicca una melodia sincopata e protesa nell’estrema zona acuta della tastiera. Una lettura personale, la sua, che sembra riunire slanci romantici (contrasti nelle dinamiche, anche se non sempre nel fortissimo il suono risulta essere impetuoso, varietà di colori, pedali frequenti) al rigore classicista. Tempi dilatati (può non piacere ma l’interpretazione è soggettiva) che distillano la trama polifonica della partitura, soprattutto nell’Adagio carico di sentimento del canto congiunto ad una tensione interiore, Sokolov non si risparmia negli effetti agogici, virtuosistici, con una qualità del suono dalle mille sfumature, in un continuo dialogo tra dosatura timbrica e coloristica. Anche laddove gli andamenti (vedi lo Scherzo Allegro, un fugato a tre voci con strette finali), dovrebbero essere più veloci egli mantiene una linea interpretativa che predilige cesellare la complessa polifonia e la scrittura imitativa molto densa. Cambiamento di atmosfere, dopo il discorso eloquente e brillante della sonata giovanile, Sokolov affronta l’ultimo Beethoven, “capace di alternare a distanza ravvicinata momenti di idillio, scarti rabbiosi, passaggi graffianti e ironici, melodie semplici e dolcissime” (Carlo Cavalletti), proponendo le Undici Nuove Bagatelle op. 119 pubblicate nel 1823, ognuna scolpita per esaltarne il contenuto espressivo, in una analisi miniaturistica che sottolinea la poetica di questi piccoli brani, tra l’altro, molto poco eseguiti.
Un affondo nel clima tardo ottocentesco ci viene poi dai due cicli dei Klavierstücke, op. 118 e 119, di Johannes Brahms. Dieci pezzi brevi denominati Intermezzi, Ballate, Romanze e Rapsodie, che tra rievocazioni arcaizzanti, costruzioni armoniche dense di modulazioni, intimismi lirici, slanci sperimentali, forme bitematiche, variazioni, dolci malinconie raccontano il mondo privato del compositore di Amburgo. Anche qui, come in precedenza, il suo stile pianistico coglie tra tecnica e pathos l’essenza della scrittura, intrisa dai vari stati d’animo, nei contrasti semantici tra una sezione e l’altra.
Ma la serata non può dirsi conclusa senza i molteplici bis che da Schubert (Impromptu op.142 n.2, Melodia ungherese) a Brahms (Intermezzo n.2 op.117) a Debussy (Des pas sur la neige), quasi aggiungono un terzo tempo allo splendido concerto, che se c’è bisogno di sottolinearlo, ha riscosso un grandissimo successo.
Parlare di musica non è difficile, è impossibile: se si potessero usare le parole diventerebbero inutili le note.” (Grigory Sokolov)

Francesco D’Agostino

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