Lo Stabat Mater è il secondo dei 4 Pezzi Sacri, secondo una collazione ad uso editoriale di altrettante composizioni realizzate negli ultimi anni di vita da un Giuseppe Verdi tutt’altro che in disarmo creativo.
Nel 1898, anno della prima esecuzione dei brani, avvenuta a Parigi, il musicista aveva 84 anni, ma conservava tanta energia mentale e desiderio di sperimentare, se è vero che ricercava nuovi codici sonori in scale enigmatiche, mentre riprendeva ad esercitarsi sul contrappunto bachiano.
La Sequenza di Jacopone da Todi (1230 c.a. – 1306), ha sempre affascinato i musicisti, i quali, mettendola in musica, hanno non di rado prodotto opere che si sono collocate sulle vette qualitative delle rispettive produzioni; l’elenco sarebbe sterminato, ma come non citare Palestrina, Alessandro e Domenico Scarlatti, G.B.Pergolesi, Tommaso Traetta, Antonio Vivaldi, F.J.Haydn, Gioachino Rossini, Antonin Dvořák, Zoltan Kodály, Arvo Pärt, Francis Poulenc, Krzysztof Penderecki, Lorenzo Perosi, per non dire degli innumerevoli autori “minori” di Scuola Napoletana.
Dopo la censura di tropi e sequenze, che erano fioriti a migliaia nel medioevo, il Concilio di Trento autorizzò l’utilizzo di sole 5 Sequenze: “Victimae paschali laudes”, “Veni Sancte Spiritus”, “Lauda Sion Salvatorem”, “Dies irae” e “Stabat Mater”, collocando ciascuna in una specifica ricorrenza.
La Sequenza di Jacopone, sottratta alla funzione liturgica ordinaria, venne “confinata” nella sola festività dell’Addolorata (15 settembre)e si dovrà attendere il 1727 perché essa sia reintegrata nel messale romano· da Benedetto XIII.
Il relativo accantonamento lungo due secoli, subito dopo il fulgido esempio in doppio coro di Palestrina, permise allo Stabat Mater di superare gli anni dell’affermarsi dello stile severo più rigoroso, per riapparire allorché lo stile misto e il contrappunto armonico stavano dischiudendo nuove prospettive espressive alla musica; da questa circostanza probabilmente deriva l’associare alla sequenza todina linguaggi musicali di vivida intensità espressiva.
Dei Quattro pezzi sacri, lo Stabat Mater è quello più imparentato con la grande Messa da Requiem, composta 24 anni prima.· forse più ancora che il pur imponente Te Deum.
Gli andamenti si susseguono con: Sostenuto, Poco più animato, Meno animato, con una didascalia di apertura della edizione a stampa di Ricordi “Tutto questo pezzo dovrà eseguirsi in un solo tempo come è indicato dal metronomo. Ciò malgrado in certi punti per esigenze di espressione e di colorio converrà allargare o stringere, ritornando però sempre al Primo tempo”.
Se il Requiem si vuole avesse quale alter ego operistico Aida, per lo Stabat Mater si è voluto rinvenirlo, non solo per vicinanza cronologica, in Falstaff.
Il desiderio di continuità esecutiva fa ancor più risaltare i contrasti interni alla Sequenza musicata da Verdi, che ha voluto impiantare in Sol minore; la retorica musicale è raffinata e si giova della tavolozza di colori approntata per la Messa dei Morti.
Varia ed efficace è la retorica: La suspiratio dei violini nel Cujus animam, la potenza esclamativa,· che evoca il Dies irae, allorchè il testo riferisce delle ferite inferte al Cristo, l’abbandono del Quando Corpus morietur.
La Vergine viene ritratta in una umanizzazione che ce l’avvicina e che rimanda quasi, e l’azzardo non crediamo essere del tutto peregrino, alla manzoniana madre di Cecilia; Maria si muove nella partitura come “una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa”.
Se sia la comune ispirazione del più nobile dolore materno ad accomunare le opere dei due Maestri nei rispettivi linguaggi, ovvero se sia il musicista ad andare, con un pensiero che si fa musica, all’uomo cui egli aveva dedicato la grande Messa da Requiem, è materia di astratta speculazione a cui il credente potrebbe fornire una unificante risposta che riconduce entrambi gli impulsi creativi al Divino, generoso elargitore di talenti per i due immensi artisti.
Si diceva che lo Stabat verdiano è impiantato nella tonalità di sol minore; l’inizio reca l’indicazione di Sostenuto e presenta tre battute orchestrali con accordi di sol privi di terza eseguiti da corni, fagotti e tutti gli archi nella zona grave con i violini, viole e violoncelli· con bicordi vuoti e pedale di contrabbassi.
In una lettera ad Arrigo Boito, Verdi scriveva:”Nel principio sulla prima frase, Stabat Mater, vorrei in tutti una voce mf dolorosa, sorda, ventriloca” (Sic, 2aprile1898)
Il Coro entra con unisoni e ottave in f con smorzando, su un’appoggiatura inferiore della quinta, disponendo, perciò, su una relazione di tritono. La prima frase rinuncia alla simmetria a vantaggio della sillabazione per gradi congiunti fino ai salti discendenti sulle parole “Dum pendebat”, immagine musicale della postura del Cristo.
Lo stile imitato si affaccia a battuta 15, nel frangente di “soli” introdotto dai contralti e la frase “per transivit gladius” viene cantata in pp, ma con l’intensità del ritmo puntato.
Verdi ricorre alla suddivisione delle voci di coro, così come le parti degli archi, arricchendo di armonici l’effetto sonoro fino alla pienezza in “Mater unigeniti”, dapprima su un accordo di· settima di sol, sul pedale di do, che genera una tensione e che risolve eccezionalmente, con movimento ascendente della dissonanza, su un luminoso do maggiore.
L’ottonario “Quae moerebat et dolebat” è affidato ai baritoni, raddoppiati da violoncelli e fagotti, con i restanti archi in sincope; l’interrogativo “Chi non si rattristerebbe nel contemplare la Pia Madre dolente col Figlio?” non può che prevedere un’intonazione corale, che Verdi propone accordalmente in lab maggiore.
Proseguendo secondo il criterio di affidare gli interrogativi retorici al coro, la sequenza ci conduce, dopo un frangente di arditezze enarmoniche verso tonalità di dob maggiore, a “pro peccatis suae gentis, vidit Jesum in tormentis”, che viene “raccontato” dai bassi; su “vidit suum Dulcem Natum” Verdi introduce delle sensibili irrisolte, cantate dai soprani, su archi pizzicati e cassa che scandisce il battere, con effetto più emotivo che ritmico in senso stretto.
Da una cadenza alla dominante, Mi maggiore, su “Dum emisit spiritum”, la regione armonica vira verso il si maggiore che ospita a “voci sole”, l’inizio della nuova quartina ottonaria “Eja Mater fons amoris”.
Diversamente da quanto realizzato da Rossini, alla cui omologa composizione non si può dire Verdi non abbia guardato nel realizzare il proprio Stabat, a Sancta Mater istud agas il bussetano fa corrispondere una concitazione espressiva, attraverso la quale l’autoflagellazione del fedele , che chiede alla Vergine che le piaghe di Cristo gli vengano impresse nel proprio cuore, si evidenzia con drammaticità incisiva.
La condivisione del dolore, invece, di Tui Nati vulnerati, viene espressa con sonorità dense e morbide, prescrivendo l’uso delle quarte corde degli archi, che accompagnano i contralti; l’episodio si sviluppa nella regione di do maggiore, verso cui cadenza.
Il fedele “narrante” supplica la Vergine di lasciarlo piangere con Lei; qui Verdi fa accompagnare il quartetto corale dai trilli in pp dei violini primi, con le viole seconde· in armonici e le viole prime a raddoppiare i violini secondi per dare colore scuro al suono, mentre i violoncelli procedono in pizzicato: l’impasto si arricchisce con flauti, oboi e fagotti che creano un’atmosfera di supplice serenità.
L’analogia con il modello rossiniano si presenta nel conclusivo “Quando corpus morietur, fac ut animae donetur Paradisi gloria”; Jacopone sposta l’attenzione dalla Passione di Cristo all’attimo estremo dell’uomo, il quale auspica per sé, dopo aver voluto condividere il dolore della Madre e le ferite del Salvatore, l’accesso alla gloria del paradiso; Verdi, come il Pesarese, fa cantare valori lunghi procedenti per semitoni, sdoppiando tutte le voci ad eccezione dei soprani.
Segue un’esplosione di tutto l’insieme orchestrale in ff, con tremoli e sedicesimi veloci, in un diminendo che in 14 battute raggiunge la conclusione, sulla parola Amen, in ppp e· in pppp. Al dolore sgomento di melodie, armonie e ritmi subentra il silenzio fiducioso dell’attesa di Una e di tutte le Resurrezioni.
Dario Ascoli