Sono passati più di cento anni da quando il fascino eterno di Napoli ammaliò tre grandissimi artisti e da questa malia nacque un balletto, con voci e piccola orchestra su temi frammenti e pezzi di Pergolesi, che traendo spunto da un canovaccio buffonesco del Settecento, descrive le peripezie della arcinota maschera partenopea alle prese con fidanzati gelosi. Pulcinella lo spettacolo musicato nel 1919-1920 da Igor Stravinskij, coreografato da Léonide Massine sulle scene di Pablo Picasso, in scena al Teatro Verdi di Salerno affidato ai solisti e al Corpo di ballo del Teatro di San Carlo, nella ripresa di Francesco Nappa innanzitutto mantiene il suo valore emblematico di personaggio che condensa l’elemento popolare e che rappresenta una modalità dell’essere, una cultura, una filosofia di vita, una tradizione, ma perde i tratti della commedia dell’Arte. Niente maschera dal naso adunco, niente zuccotto bianco, i fili della marionetta sono stilizzati sugli indumenti, in scena abbiamo un uomo che svelerà il proprio lato intimo ed amoroso. La maschera, simbolo di protezione che Pulcinella non indossa però compare spesso in scena, assieme ad un un gigantesco corno rosso, altro simbolo, quasi iconografico di una città in cui si intrecciano da sempre elementi sacri e profani.
Dunque una Napoli moderna che non rinuncia a degli elementi che la caratterizzano nell’immaginario più banale. E sia. La forza di questa rivisitazione noi l’abbiamo ritrovata più che negli inserti musicali sia di musica tradizionale che elettronica, più che nelle installazioni di Lello Esposito che dialogano con i danzatori, proprio nella espressione coreografica (intrisa qua e là anch’essa di alcuni gesti afferenti alla napoletanità) che rimanda e racconta con slancio ed energia le anime maschili e femminili degli interpreti principali. Sulla scena a fondo scuro il corpo di ballo ha un buon affiatamento, non mancano piccole citazioni (quali l’iniziale “Era de maggio” con in scena Pulcinella e un pianino che evoca il famoso film Carosello Napoletano coreografato da Massine nel 1954 o le lavandaie imbrigliate dai panni stesi, in omaggio e del fondale di Picasso e della stessa coreografia originale), ma ciò che più spicca, oltre alla ricerca che lega la narrazione ai movimenti danzati, è la qualità del gesto, fluido, pulito ove serva, delicato quando occorre, dinamico all’occorrenza, a tratti sospeso, a volte esplosivo, talvolta scherzoso. La scrittura coreografica per gli uomini, spazia dall’ironico per poi approdare alla bruta violenza del branco, mentre per le donne le espone come innamorate leziose, tentatrici, ma pronte ad intonare preghiere rituali in processione. I duetti d’amore rimandano l’espressione della vera personalità di Pulcinella e Pimpinella, che trovano sempre una fisicità sensibile che unisce i movimenti del corpo in un intento narrativo.
Carlo De Martino nel ruolo di Pulcinella tratteggia con leggerezza il suo personaggio, alternando uno spirito scanzonato all’eleganza e alla vitalità; bene anche Salvatore Manzo nel ruolo di Furbo, e lode esplicita per l’energico Alessandro Staiano nel ruolo di Capobanda. Pimpinella è una tenera e accattivante Claudia D’Antonio.
Il Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo diretto da Giuseppe Picone, ben interpreta i ritmi di Stravinskij ridisegnati dal coreografo. A chiudere i costumi di Giusi Gustino, in pieno accordo con il filo conduttore di Francesco Nappa che ha curato anche le luci e la regia e assistente alla coreografia Giulia Insinna.
Ottima l’accoglienza del pubblico salernitano nella serata di venerdì 19 aprile 2019 e applausi per tutti i protagonisti.
Dadadago