«Una mia amica si è innamorata di un tipo sul web, si è fatta un film nella sua testa e ha creato un amore virtuale, il ritratto di una persona che non corrisponde alla realtà. Oggi diamo peso a persone senza un perché. Allo stesso modo Cio-Cio-San ama quell’uomo per ciò che rappresenta, non per quello che è.
E, apre il suo cuore verso un’idea (…) In questa regia ho pensato a quello che è diventato un fenomeno sociale, i sentimenti taroccati. Tra l’altro, viene organizzato un matrimonio che è una farsa. E magari dopo tre mesi lei si stancava pure. Pinkerton è vittima dei sogni di lei».
Così il regista Ferzan Ozpetek, di recente insignito a Napoli della cittadinanza onoraria e autore del pluripremiato film “Napoli velata”, in un’intervista rilasciata a Valerio Cappelli e riportata sul programma di sala. L’allestimento in scena dal 16 al 20 aprile sul palcoscenico del Massimo napoletano promette di far parlare a lungo di sè per la lettura poco convenzionale e per alcune scene di nudo integrale, scelta ritrattata in corso d’esecuzione anche per volontà forse della prima donna Evgenia Muraveva.
Cio-Cio-San aderisce a un costume sociale del suo paese e del suo tempo, ma il matrimonio rappresenta ai suoi occhi il riscatto dalla povertà e dalle infamante professione di geisha. La statica condizione di moglie “americana” vive solo nella sua autoconvinzione, per essere rapidamente demolita dal precipitare degli eventi che la costringeranno ad andare incontro al suo tragico destino: “Questo mestier che al disonor porta! Morta! Morta! Mai più danzar! Piuttosto la mia vita vo troncar!”. Ad accompagnare l’evoluzione psicologica della protagonista, quattro mimi sosia di Butterfly che ne incarneranno le vicende interiori. «(…) ho pensato che nel finale del primo atto Cio-Cio-San e Pinkerton fanno l’amore. In modo realistico. Si desiderano, si sono piaciuti, fremono. Lui deve essere affamato di sesso, lei è una quindicenne, una bambina praticamente punte, lui è morboso» continua il regista. E qualcosa di morboso hanno anche gli altri personaggi che gravitano come satelliti attorno alla figura carismatica della giovane geisha: Suzuki, la servente, si innamora di Madama Butterfly, come la cameriera Rebecca di Hitchcock. L’ha idealizzata. Goro è un personaggio ambiguo, una specie di eunuco ruffiano con mortificate aspirazioni bisessuali. Omaggio alla cinematografia, sul coro a bocca chiusa scorrono le immagini di Butterfly che rivolge lo sguardo al pubblico e va verso il mare.
Butterfly parla della sua casa americana, ha voglia di Occidente e cambia religione fino ad essere ripudiata dalla sua famiglia d’origine, i suoi errori di valutazione, la sua ubris, Insieme alla sua ambizione, alla sua voglia di riscatto, hamartia, la rendono una perfetta eroina tragica. Ma ben presto interverrà una delle leggi eterne di ogni tragedia: chi ha peccato di superbia e così turbato l’ordine sociale, deve ristabilirlo con il proprio sacrificio.
Tòpoi riconosciuti del genere tragico, e gesti musicali precisamente coordinati ad essi, sostengono dunque la struttura della tragedia giapponese di Puccini.
Le simmetrie musicali che disegnano un percorso drammatico bipartito.
L’impiego del coro che a tre quinti del secondo atto, intona a bocca chiusa una dolce ninna-nanna, cullando la protagonista nell’ultimo, amaro istante d’illusione e al tempo stesso separa chiaramente la peripezia dalla catastrofe: nei finali delle tragedie sovente il coro assiste l’eroe nel compimento del suo destino.
Il motivo conduttore (leitmotiv) come perno di una tecnica di narrazione atta a dar conto del mondo che evolve intorno all’eroina-un mondo che, nel caso di Cio-Cio-San, è del tutto altero rispetto alle sue convinzioni.
Il contrasto tra l’esotico delle melodie del sol levante è contrapposto all’inno americano riecheggiato più volte a motivare l’evento fatale, mostrando le sue radici nell’ambiente; ciò consente di cogliere la causa della hamartia di Butterfly nella prevaricazione imperialista di una nazione sull’altra, tanto forte da creare illusioni fallaci.
Michele Girardi sagacemente associa la protagonista all’eroe Aiace di Sofocle. Aiace Telamonio si suicida gettandosi sulla spada per aver perduto l’onore. Prima di morire congeda la schiava Tecmessa, che non vuole rassegnarsi all’ineluttabile. Rivolge poi un addio al figlio Eurisace, a cui augura un futuro più sereno del suo.
L’allestimento ha fatto registrare sold out ai botteghini con larghissimo anticipo e per ogni rappresentazione prevista . Si offre recensione dello spettacolo di giovedì 18 aprile alle ore 18.
Evgenia Muraveva nel ruolo del titolo ha messo in luce potenzialità di grande interprete: tecnica vocale raffinatissima, gusto musicale, e appeal scenico grazie al quale ha tenuto soggiogato il pubblico.
Il tenore Saimir Pirgu nei panni del tenente della marina degli Stati Uniti, è stato convincente, ottimi i volumi e l’impasto vocale, non sempre impeccabile la tecnica di fiato. Carismatico Giovanni Meoni nei panni di Sharpless, Console degli USA a Nagasaki, unico occidentale ad aver mostrato tratti di pietas autentica per Butterfly e colui a cui è rimesso l’ingrato compito di “giustiziare” la sua insana utopia.
Il baritono ha dato eccellente prova di se’, sicura tecnica vocale e padronanza del quadrato scenico, qualche trascurabile imprecisione nell’ ultimo quadro. Ottima la Suzuki portata in scena dal mezzosoprano Raffaella Lupinacci, colore brunito, precisione e grande compostezza hanno caricato il suo personaggio del contegno e della severità che gli sono propri. Sopra le righe per contro ma in ossequio alla regia, il Goro di Luca Casalin. Granitico lo zio Bonzo di Ildo Song. A completare il cast: la bellezza diafana di Rossella Locatelli/Kate Pinkerton, Nicolò Ceriani/Il Principe Yamadori, l’ottimo Enrico Di Geronimo/Il Commissario Imperiale, Antonio De Lisio/L’Ufficiale del registro, Annamaria Napolitano e Lucia Gaeta rispettivamente/ la madre la cugina di Cio-Cio-San, Lorenzo Mattia Moreschi/ Dolore, Roberta Astuti, Simona Barattolo, Roberta Siciliano, Maria Chiara Vigoriti/ attrici.
Sul podio un diligente Gabriele Ferro a imprimere all’orchestra un movimento persino eccessivamente compassato, i soli hanno rivelato invece il lirismo pucciniano più autentico.
Scarne e suggestive le scene di Sergio Tramonti, le pareti dell’alcova dapprima dischiuse nell’attesa dell’avvistamento e del ritorno, si spalancano aprendosi al mare al culmine della consapevole illusione per poi serrarsi bruscamente come una stretta al cuore lasciando posto alla desolazione.
I costumi di Alessandro Lai nel rispetto dell’ambientazione anni ‘50 giocano con il rosso-seduzione dell’abito da sposa e del talamo. Intime e soffuse le luci di Pasquale Mari a sottolineare l’ineluttabilità della tragedia, un fascio di luce bianchissima e intensa investe il corpo della giovane nel momento catartico del sacrificio.
Buona performance del coro del Teatro San Carlo preparato da Gea Garatti Ansini.
Mariapaola Meo