“Interpretare, eseguire, suonare” questi termini possono essere usati come sinonimi, come fossero un sintagma musicale, o rimandano ad aspetti diversi di uno stesso momento? È questa la domanda che ci siamo posti ascoltando il capolavoro bachiano Die Kunst der Fuge (BWV 1080), che giovedì 17 gennaio ha inaugurato la nuova stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica Romana. Sul palco del Teatro Argentina, a dar vita al complesso florilegio di contrappunti, fughe e canoni (altro sintagma chiave), è stata l’Accademia Bizantina, ensemble strumentale, specializzato nella musica antica, che da oltre 30 è apprezzato a livello internazionale. Diversamente dal resto del repertorio dell’Accademia Bizantina, data la complessità dell’Opera, l’Arte della Fuga è stata prima incisa e diffusa, a partire dal febbraio 2017, e successivamente proposta in concerto. “Interpretare, eseguire, suonare” dicevamo, ciascun musicista si trova quotidianamente a confronto con questi termini, diversamente dalle altre arti infatti la musica ha bisogno di essere veicolata da uno o più interpreti che suonando la eseguono rendendola fruibile al pubblico che ascolta; ma cosa intendiamo per interpretare quando piuttosto che trovare un sinonimo del verbo eseguire vogliamo riferirci al contributo personale ed unico che ciascun artista dona al brano in cui si cimenta? È inoltre possibile una lettura filologica che lasci spazio all’interprete? Da questo punto di vista l’Arte della Fuga offre una sfida per chi come Ottavio Dantone, ed il suo ensemble, fa della filologia non una fredda ed asettica ricerca dell’antico, ma un tramite per avvicinarsi e veicolare poi il messaggio dell’Autore. Composta tra il 1747 e il 1749, e destinata alla Società delle Scienze Musicali, cui Bach aveva aderito proprio nel 1747, Die Kunst der Fuge rimase incompiuta, per la sopraggiunta morte del Kantor di Lipsia, e priva di una indicazione strumentale precisa. A lungo ci si è interrogati, ed ancora ci si interroga, sulle molteplici possibilità di realizzazione di questo capolavoro del contrappunto, partendo dalla scelta di strumenti a tastiera, passando per differenti gruppi da camera, fino a giungere alla supposizione che si tratti di un trattato musicale, destinato quindi non all’esecuzione strumentale bensì allo studio.
L’Accademia Bizantina ha proposto al pubblico la sua personale interpretazione dei celebri contrappunti, presentandosi in formazione a parti reali con Ottavio Dantone al cembalo, Stefano Demicheli all’organo, Alessandro Tampieri e Ana Liz Ojeda al violino, Diego Mecca alla viola, e Mauro Valli al violoncello.
Ricercando quell’ordine matematico e numerologico che tanto caro era a Johann Sebastian Bach, l’ensemble di Ravenna ha creato un’unità strutturale riprendendo nella Fuga conclusiva -ma non conclusa- il colore strumentale creato dall’ensemble al completo. La concertazione pensata da Ottavio Dantone ha alternato momenti di austerità ad altrettanti di dinamismo orchestrale e scenico, affidando la varietà dei contrappunti tanto alle tastiere quanto al quartetto d’archi, introducendo perfino un’esecuzione a violino solo e cembalo approfondendo e sperimentando così tutte le sfumature che l’organico scelto permetteva.
Presentare l’intero corpus dell’Arte della Fuga in concerto è stata senza dubbio una sfida, ma che possiamo ritenere a ragione veduta vinta; gli applausi del pubblico e la concentrazione palpabile durante l’intera esecuzione, hanno confermato che anche un programma complesso e concettuale come quello proposto per la serata del 17 gennaio, una volta dominati i codici retorici, obiettivo cardine dell’Accademia Bizantina, possa divenire fruibile, immediata e comunicativa ed anche il bis, un contrappunto in stile bachiano, ha riscosso un enorme successo, che auspichiamo possa ripetersi per i prossimi concerti in programma in questa Stagione appena iniziata.
Emma Amarilli Ascoli