Ciò che affascina nell’opera Così fan tutte di Mozart è la sua oscillazione interna, legata alla mutevolezza e precarietà dei sentimenti e delle emozioni umane, a dispetto della “geometria amorosa” e della simmetria della struttura drammaturgica dell’opera, sottolineate da Massimo Mila nel suo famoso saggio. Straordinaria modernità emerge da tale instabilità e mancanza di certezze, se non quella dell’accettazione della realtà mobile della natura umana, che Mozart e Da Ponte pongono al centro di questa calcolata costruzione di “teatro nel teatro”, in cui proprio la finzione è posta a tema della vicenda. Nella raffinata regia di Chiara Muti per tale lavoro che ha inaugurato brillantemente la stagione 2018/2019 del teatro San Carlo di Napoli il 25 novembre scorso, la realtà dell’illusione, secondo le stesse parole della regista, è stata efficacemente evidenziata da una scena concepita come una Lanterna magica fatta di specchi che riflettono ciò che siamo nell’immaginario di chi ci sta intorno”, con la scelta di un elegante colore azzurro dominante, il colore dell’Acqua e dell’Aria, gli elementi in “eterno movimento” che più rispecchiano il vibratile fluire dell’interiorità umana. Altro elemento centrale nella rappresentazione sancarliana è stato il gioco, parametro anch’esso della finzione e dell’immaginazione, e quindi del teatro, con cui costantemente l’uomo si pone in dialettica con i dati reali dell’esistenza e che qui coinvolge nientemeno che le “leggi naturali” del cuore umano. Rievocano continuamente i giochi dell’infanzia le protagoniste Fiordiligi e Dorabella, dal ‘tiro a palla’ al cavalluccio a dondolo, così come intenti a giocare al jeu de paume sono colti, fin dall’apertura del sipario, i due amanti maschili, Guglielmo e Ferrando. Il tutto è risultato sublimato dalla direzione sapiente di Muti che, di fronte ad un’orchestra di alto livello particolarmente attenta a dosare ogni suono in rapporto alla scena, ha giocato di finesse, con uno scavo delle dinamiche e dei singoli timbri a rendere tutta la valenza potremmo dire “divergente” della musica mozartiana rispetto all’assunto comico e razionalista del libretto. Quest’ultima, come nota Stefan Kunze, scorre al di sotto del livello sperimentale della pièce, pur senza negarlo, rivelando “una verità che anziché ubbidire a regole prestabilite le mette di continuo fuori causa”, per rimandare al di là della commedia, ad una “dimensione umana inalienabile e irripetibile”.
Volendo ripercorrere storicamente le vicende dell’opera, la terza della trilogia dapontiana, dopo Le nozze di Figaro e il Don Giovanni, essa si colloca in un momento critico della vita di Mozart affllitto da difficoltà economiche e lontano dalla moglie Konstanze che, ammalata, si era recata a Baden per delle cure. Commissionata direttamente dall’imperatore Giuseppe II, il quale aveva proposto il soggetto rifacendosi ad un fatto realmente accaduto, andò in scena con esito positivo il 26 gennaio 1790 al Burgtheater di Vienna con un cast di eccezione: Adriana Ferrarese Del Bene (Fiordiligi), Louise Villeneuve (Dorabella), Vincenzo Calvesi (Ferrando), Francesco Benucci (Guglielmo), Dorotea Bussani (despina), Francesco Bussani (Don Alfonso). In realtà per quanto Da Ponte non avesse quale riferimento una fonte letteraria precisa come era accaduto per le Nozze e per il Don Giovanni, aveva comunque alle spalle una ricca tradizione di trattazione del suo tema che è quello della “prova di fedeltà” presente fin da tempi lontani, per esempio in Ovidio (si veda il mito di Cefalo e Procri nlle Metamorfosi, libro VII) o in Ariosto (nell’Orlando furioso ) volendo citare due autorevoli precedenti letterari, e, relativamente al filone operistico, in diversi lavori tra cui Il curioso indiscreto (1777) di Pasquale Anfossi ispirato da una novella contenuta nel Don Chisciotte (prima parte capp.33 e 34).
Le repliche dell’opera non furono tuttavia numerose, anche a causa della morte dell’imperatore avvenuta il 20 febbraio 1790, cui seguì una ripresa il 6 giugno con poche altre rappresentazioni, dopodiché la sua fortuna declinò lungo tutto l’Ottocento, incompresa in virtù di quegli stessi aspetti che ne sancirono il successo nel Novecento a partire dalla ripresa di Richard Strauss nel 1910 a Residentztheater di Monaco. Al di là dell’iniziale e ricorrente giudizio estetico prevalentemente dicotomico tra la disapprovazione del libretto e l’elogio della musica, il terzo lavoro della trilogia italiana, risultò già «inattuale» (Kunze) al suo apparire per il non rispetto dei valori di una società borghese che stava appena consolidandosi, che anzi Mozart demistifica in maniera non dissimile da quanto avviene ne Le affinità elettive di Goethe, romanzo particolarmente vicino per alcuni suoi temi all’opera mozartiana.
In realtà questo libretto che è forse il più perfetto di Lorenzo Da Ponte, offrì a Mozart la possibilità di comporre una delle sue opere più radicali includendo aspetti sfaccettati, in quanto “apoteosi” della commedia, incentrata qui, come recita il sottotitolo, sulla “scuola degli amanti” dunque su un “exemplum” di tipo didascalico sicuramente riguardante entrambi i sessi e l’ “umano” in generale, al di là di un ingannevole assunto misogino senz’altro sconfessato dalla restante elevata concezione di figure femminili centrali nel teatro mozartiano quali Ilia dell’Idomeneo, la Contessa delle Nozze di Figaro o Pamina nel futuro Flauto magico compimento di un’ultima salvifica e suprema concezione dell’amore. In Così fan tutte, nell’apparente assoluta necessità del piano dimostrativo di Don Alfonso oltre che del “gioco” del teatro, Mozart imprime agli eventi un segno di verità, laddove all’interno della commedia il riso e il pianto convivono, secondo quanto indirettamente gli era pervenuto dal teatro di Shakespeare fin dai tempi dell’ Idomeneo, soprattutto attraverso Lessing, va ricordato infatti che il compositore era stato assiduo frequentatore del teatro di prosa e che aveva conosciuto, più o meno rielaborati, diversi testi shakespeariani. Cosicché la soluzione della commedia rimane aperta e drammatica come è la vita, nonostante l’apparente conciliazione degli amanti, e ce lo dice la musica in quel tema sottovoce affidato a legni, corni, trombe e timpani ad apertura dell’Allegro molto conclusivo, che reca con sé, con la modulazione a Fa minore il dolore e la pena che i personaggi hanno dovuto attraversare e che ci avverte che nulla, una volta sollevato il velo dell’illusione potrà tornare come prima, restituendoci tuttavia ad una superiore e più ricca autenticità dell’esistenza. L’artificioso teatro al quadrato di questo capolavoro ritorna dunque musicalmente, in ogni caso, all’idea di un teatro ormai dedito alla “minuta analisi” del cuore umano, sebbene su un piano più concettuale e filosofico che va oltre l’impianto di puro realismo psicologico dei due precedenti lavori dapontiani.
Rosanna Di Giuseppe
Foto Silvia Lelli