Non solo Medea, in scena dal 12 al 14 luglio 2018, è un’opera performativa creata appositamente per il Teatro Grande di Pompei all’interno della rassegna Pompei Theatrum Mundi, spettacolo coprodotto da Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale e Ballet National de Marseille, in collaborazione con ATER e ICKamsterdam e Vaison danses; già nella serata inaugurale il balletto è diventato un evento.
Lo spettacolo ideato e coreografato da Emio Greco e Peter C. Sholten, è una lunga riflessione sull’essere “io” unico e al tempo stesso collettivo, sull’uomo che nel corso del tempo ha creato e sviluppato il suo universo socio-culturale.
Non solo Medea è un lungo racconto della perdita dell’identità in funzione di una nuova appartenenza sviluppata nel solco europeo.
L’uomo/donna errante è colui che non ha patria, non ha luogo né comunità di appartenenza, è sempre il diverso che non riesce ad integrarsi, colui che è in cerca di un luogo migliore per migliorare se stesso.
Emio Greco e Peter C. Sholten sono partiti dai miti greci, dallo stesso mito di Europa, affrontati attraverso i testi di Euripide e Sofocle, evidenziando figure/tipi che incarnano le emozioni e le sensazioni ancestrali, le dinamiche relazionali più arcaiche ancora oggi presenti.
Si assiste ad un continuo rimando tra il passato e il presente, che crea un legame atemporale, in cui personaggi come Medea, Ifigenia, Antigone ed Edipo perdono il loro ruolo per divenire uomini e donne del presente perduti nell’indefinita ricerca di una propria identità; emergono donne genitrici, assassine e visionarie contro uomini incapaci di “vedere”.
E’ soprattutto la donna che trova la propria identità/collocazione nella società con grande difficoltà e con sofferenza; un tempo era il matrimonio che, con una nuova forma di sottomissione e di rinuncia in un mondo dominato dagli uomini mariti/padri, si presentava come mendace promessa di affrancamento.
Medea che segue per amore il suo sposo e tutto perde, la compassionevole Antigone rea di seguire i suoi sentimenti, Ifigenia che per amore della patria è pronta al sacrificio, diventano donne simbolo in cui ciascuna di ogni epoca può ritrovare parte di un proprio vissuto.
Solo l’aedo cieco ha la possibilità di narrare/cantare/trasmettere la verità poiché in assenza di vista lui può andare oltre l’apparenza degli eventi, delle parole e delle emozioni.
Il mito e il teatro nell’antica Grecia hanno distillato una cultura contrapposta a quella “barbara”, quella cioè dello straniero che si esprime in un idioma non compreso, dietro il quale vibrano emozioni e sentimenti spesso comuni.
Emio Greco e Peter C. Sholten hanno evidenziato come la differenza linguistica sviluppi ostacoli ma che rappresenti un valore aggiunto.
Gli autori si sono ispirati alla tradizione del teatro antico rileggendolo nella contemporaneità, affidandosi ad echi del passato per creare una sinergia delle arti e dare vita ad una narrazione su più livelli: linguaggio teatrale, linguaggio musicale, linguaggio coreografico, linguaggio visuale, coesistenti nella dislocazione nello spazio e nel tempo della narrazione.
Il linguaggio coreografico, interpretato appassionatamente e energicamente dai danzatori del Ballet de Marseille, ha spaziato dal classico al contemporaneo disegnando una linea di continuità dove il codice è stato al servizio dell’espressione artistica. Un linguaggio fluido, volutamente ripetitivo in alcuni movimenti, accenni di citazioni altre, dove la linea spirale è stata esplorata da ogni parte del corpo in modo singolo e collettivo. Coreografia dislocata negli spazi, doppiata e raddoppiata, voce del singolo con eco del gruppo e viceversa.
Nelle sette parti, rimpiangere, domare, accettare, ribellarsi, negare, realizzare, esodo la partitura coreografica di Emio Greco e Peter C. Sholten ha scelto di volta in volta un tema da sviluppare che ha sempre dialogato con la parola, non come didascalia bensì interdipendente con anima propria.
Lo spettacolo è diviso in sette movimenti più un prologo anch’esso diviso in sette parti, una numerologia non casuale e densa di significati; numero della perfezione ciclica per i pitagorici e nell’antica astronomia, non distante dall’astrologia, il numero era legato a Nettuno; ancora sette sono i peccati capitali, sette i mari, sette le note musicali, sette i giorni della settimana, sette gli angeli dell’Apocalisse, sette le Pleiadi, sette le costellazioni, sette i giorni della creazione …
Il prologo Verso l’oscurità di Florian Hellwig sottolinea tutti i personaggi compreso l’aedo che conduce la narrazione al punto di inizio dello scambio di relazione performativa tra Video, danza, suono e parola; sottolineiamo: “Ascoltate la mia voce/Più saremo silenziosi/più sentiremo./Ora, lentamente, comincio a contare/ritroso./Da sette a zero./E quando dirò zero saremo in Europa./”, ed ancora al movimento Uno “Uno/Io/Come siamo arrivati in questa crisi?/(…)Come siamo diventati quello che siamo/diventati?/Chi è l’Uomo nuovo?/”.
Spettacolo nel quale interdipendenti sono stati l’attrice Manuela Mandracchia che di volta in volta è stata Edipo, Antigone, Medea e Ifigenia trasferendole dal passato al presente, alla voce fuori campo di Thibault Villette sono stati affidati il prologo e l’epilogo; la percussionista Flora Duverger ha interagito con i danzatori.
Efficace il video di Ruben Van Leer , che ha sottolineato con immagini del presente, oltre che oniriche, il dramma dell’essere oggi al mondo.
I costumi di Cliffort Portier hanno avvolto i danzatori in tute asettiche di “non individui” per poi progressivamente essere abbandonate verso la rinascita identitaria, le musiche sfondo della narrazione danzata tratte dai Pink Floyd, Arvo Pärt, Xenakis e Beethoven, tutto accompagnato dalle luci di Henk Danner.
Vedere, guardare, vedersi e guardarsi fino a scoprirsi, scoprendo l’altro è la sequenza che lo spettacolo multidisciplinare ha voluto circolarmente tracciare.
Tonia Barone