Pochi mesi prima di Mozart, nel carnevale del 1787, un altro compositore aveva attinto alla storia dell’empio punito per intrattenere i veneziani.
E infatti il 5 febbraio al teatro San Moisè andò in scena “Don Giovanni o sia il Convitato di pietra” come atto secondo de “Il Capriccio drammatico” “rappresentazione per musica di Giovanni Bertati”.
E la musica era quella di un compositore già ben noto anche se non nominato nel libretto, Giuseppe Gazzaniga. Ritorna il tema delle iniziative impresariali e il successo del Don Giovanni ridotto a “commedia in commedia” fu sanzionato dalle numerose repliche.
L’espediente contribuì pure ad alleggerire il lavoro del compositore risparmiandogli di scrivere per esso una sinfonia o ouverture e facendo aprire il sipario direttamente sull’Introduzione. Il trevisano Giovanni Bertati era stato fin dal 1763 fertile autore di libretti soprattutto comici, messi in musica da alcuni dei più noti musicisti del tempo, specialmente Galuppi, Gazzaniga, Anfossi, Astarita e, più tardi, Cimarosa, per il quale scrisse anche il libretto de “Il Matrimonio Segreto”. Già noto a Vienna successe addirittura per qualche tempo a Da Ponte come librettista dei teatri imperiali in cui si rappresentavano opere italiane. Giuseppe Gazzaniga, veronese ma allievo a Napoli di Porpora e Piccinni, vi aveva debuttato come operista nel 1768, ebbe poi numerose opere rappresentate a Venezia ed in altre città e riportò discreti successi anche fuori dall’Italia. A Vienna era stato rappresentato nel 1786 un suo “Finto cieco” su libretto di Da Ponte.
Bertati e Gazzaniga avevano lavorato insieme fino dal 1771 e assiduamente collaborato per gli allestimenti del teatro San Moisè. Si deve all’incalzante domanda da parte del teatro in questione la relativa concisione che la prolissa storia di Don Giovanni acquistò nel nuovo atto unico, a questo proposito è naturale domandarsi se Gazzaniga, che oltre ad essersi formato a Napoli aveva mantenuto frequenti rapporti coi suoi teatri, non avesse avuto modo di conoscere e tener presente l’opera di Tritto, che per la scelta di contenere tutta la materia in un solo atto, costituiva il solo e più immediato antecedente della sua. Certo è che come Tritto egli scelse per la sua introduzione il tono di Mi bemolle maggiore e se ne servì anch’egli per instaurare un’atmosfera notturna. D’altra parte questa Introduzione di Gazzaniga ha da gran tempo attirato l’attenzione degli studiosi per il suggerimento che essa parrebbe aver offerto all’inizio bruciante dell’opera di Mozart, ad esempio negli accordi di Si bemolle e di Fa sui quali Don Giovanni e Donna Anna impostano il loro aspro diverbio, ma che sono comunque un portato della naturale modulazione alla dominante che avvia il pezzo. D’altro canto, nel complesso continuità e concitazione facevano parte della tradizione dell’opera comica fin dai suoi albori, indirizzo principale ne erano appunto la ricerca di movimento e il susseguirsi di varietà di atteggiamenti acuita nei momenti più interessanti dell’azione. L’Introduzione e i Finali venivano concepiti come complesse unità musicali tenute insieme, pur nel continuo evolversi dell’azione, da costanti riferimenti alla tonalità principale. L’Introduzione di Gazzaniga nello specifico, pur se più breve, fa notevole impressione per il rapido trapasso, sostenuto da continuità ritmica che non conosce sosta, dalla situazione comica del servo che borbotta e sbuffa al duello e alla morte del Commendatore. Anche qui, come sarà poi in Mozart, il subito trapasso ad un recitativo tra Don Giovanni e Pasquariello crea un efficace contrasto tra drammaticità e sinistra buffoneria. “Si instaura poi, forse richiesta dalla necessità di condensare in breve tanta materia, quella che sarà la caratteristica di tutta l’opera, una successione di estesi recitativi e relativamente brevi squarci lirici” (Nino Pirrotta). Le disuguaglianze della partitura di Gazzaniga farebbero pensare che l’abilità di Bertati si applicasse pure a rendere possibile al compositore il reimpiego di musiche già composte in altra occasione. A tale gioco potrebbe essersi prestata la genericità letteraria e musicale di certe arie di cantabilità piacevole. Tali sono, per esempio, l’unica aria del Duca Ottavio “Vicin sperai l’istante” moderatamente virtuosistica e un po’ in uno stile da opera seria, la prima aria di Donna Elvira “Povere femmine” nella quale essa filosofeggia sul destino delle donne e l’incostanza dei uomini, e forse anche l’aria di Don Giovanni “Per voi e neppure in faccia” che rende abbastanza bene la duplicità del personaggio che promette fedeltà mentre tra sé pensa alla lista delle proprie conquiste. Parrebbe infine accertato che la musica del brindisi di Pasquariello “A Venezia singolare” provenisse dalla partitura dell’Antigono che il musicista veronese aveva scritto per la Roma nel 1779.
Numerosi sono gli studiosi, F. Chrysander, G. de Saint-Foix, E. J. Dent, M. Mila, S. Kunze, che da un raffronto particolareggiato tra il Don Giovanni di Gazzaniga e quello di Mozart hanno individuato nel primo non solo un antecedente storico ma un vero e proprio precedente dell’altro, sino alla tesi sostenuta da Hermann Abert che fosse stato il modello veneziano a determinare addirittura la scelta del soggetto. È fuori discussione la circostanza che Mozart e Da Ponte avessero conosciuto la più recente versione operistica del tema su cui si apprestavano a comporre, tra l’altro Gazzaniga e Bertati erano ben noti a Vienna. E risulta incontrovertibile ed immediatamente evidente che Da Ponte, impegnato a lavorare contemporaneamente a tre diversi libretti, per Salieri, per Martin y Soler e per Mozart, avesse attinto senza scrupoli al testo di Bertati, abitudine più che diffusa nel campo della librettistica del tempo. Da Ponte sapeva già di poter e dover fare opera nuova nei molti episodi che occorreva aggiungere a quelli desumibili dall’atto unico di Bertati. È probabile inoltre che Mozart e non Da Ponte opinasse per l’adozione del modello della rapidissima sequenza iniziale, prefigurandosene le possibilità musicali ed espressive e quelle derivanti dall’impostazione per cui il “dramma giocoso” era inquadrato ai due estremi dai due momenti di più tragica drammaticità, il delitto e la punizione celeste. Non mancano altre importanti corrispondenze: l’eliminazione della lugubre seconda cena, l’aria della lista, l’invito rivolto alla statua per mezzo dello spaurito servitore, i cori e danze di contadini per le nozze. Il Don Giovanni di Gazzaniga deriva, insieme a quelli tradizionali, non pochi elementi da Molière, tali anzitutto il personaggio di Elvira, quello di Maturina (anche nel nome) e il suo rustico fidanzato Biagio. Stefan Kunze osserva giustamente che sulla stesura della trama dovettero influire anche il numero e la qualità dei cantanti disponibili all’interno della compagnia, otto in tutto, tra i quali tre donne. Sarebbe stato logico assegnare a queste ultime le parti di Donna Anna, Donna Elvira e Maturina, ma le limitate capacità vocali di una di queste indussero a dare a una delle “prime Buffe a vicenda” un doppio ruolo (donna Anna e Maturina) e a creare per la terza il personaggio nuovo e insignificante di donna Ximena. Conseguenza notevole è che Donna Anna scompare completamente dall’intreccio dopo le drammatiche scene iniziali, e con lei quasi del tutto Don Ottavio. Bertati riprese pure da Molière l’episodio in cui Don Giovanni mette a tacere la gelosia di Biagio malmenandolo e la scena nella quale il protagonista si destreggia tra due donne dando a credere a ciascuna che l’altra sia pazza; infine l’episodio dell’ultima visita di Donna Elvira a Don Giovanni riproduce fedelmente le scene 6 e 7 dell’atto secondo di Molière. Un’innovazione rispetto all’antecedente che risale a Tirso de Molina è l’eliminazione del doppio banchetto con la statua, mentre nel solco della tradizione si collocano i Brindisi alla città di Venezia e alle sue donne, e le buffonerie della scena finale, probabilmente già abituali nelle rappresentazioni dei comici dell’arte. Qui sono spinte all’estremo l’assurdità della psicologia burattinesca dei personaggi e l’indulgenza alla facile buffoneria che a tratti caratterizzano il libretto di Bertati. Appare evidente che i personaggi hanno ragion d’essere esclusivamente nella relazione con il protagonista, e quando questi, punito dal castigo divino, sprofonda l’inferno, restano come fantocci a rendere il senso della farsa e il ritorno sdrammatizzato alla realtà.
Il 2 maggio 2018 alle ore 19,30 presso la sala Michelangeli del Conservatorio Monteverdi di Bolzano, l’opera illustre esponente della serie dedicata al mito dionisiaco per eccellenza, ha ricevuto omaggio e degna rappresentazione.
Il maestro Ennio Capece ha affidato ai più promettenti allievi ruoli da il “Convitato di pietra”, riservando per sé la parte del protagonista.
La Regia affidata a Christian Tomei ha necessariamente dovuto fare i conti con la ristrettezza di mezzi propria di una produzione studentesca, pur tuttavia è risultata, nella sua essenzialità, bilanciata gradevole e di buon gusto. Il tenore Capece ha saputo rendere con grande meticolosità e varietà i colori vocali e le intenzioni di un personaggio dalla complessa psicologia, in bilico costante tra menzogna e verità, e forse un po’ vittima colpevole di se stesso. Davvero ragguardevole la prova del basso Tomoyuki Saijo che ha dato vita al servitore Pasquariello cui ha prestato bel timbro, ottimi volumi, abilità di fraseggio e convincente interpretazione. Altrettanto degna di menzione la prova dell’italiano Rocco Lia nei panni del Commendatore. Colore chiaro rispetto al consueto per la Donna Elvira di Ling Wan. Il soprano cinese ha reso con freschezza e precisione nelle molteplici agilità un personaggio, la protagonista femminile, che avrebbe forse avuto bisogno di maggiori maturità timbrica ed interpretativa. La Maturina di Sara Salvatori ha messo in luce una buona tecnica vocale nelle arie più che nei recitativi, simpatico, forse un po’ ingessato, ne è risultato il duetto-battibecco con la protagonista. All’altezza della situazione gli altri interpreti: Zhu Fengli-Biagio; Michele Lo Bianco-Lanterna, Olga Taelinskaia-Donna Anna; Ying Zhao-Donna Ximena.
L’Ensemble Strumentale “Monteverdi” ha reso buona prova di sé, con intonazione quasi ineccepibile ha assecondato il gesto del direttore Paolo Zordanazzo eccessivamente flemmatico nella lettura di una partitura briosa da affrontare con diversi stile e temperamento. Al clavicembalo Antonio Camponagara. Il Coro del Conservatorio Monteverdi è stato diretto dal maestro Elena Sartori.
Mariapaola Meo