Le malentendu di Camus è un testo duro, spigoloso, lento, verboso (anche quando i personaggi si ritrovano nel silenzio della loro solitudine), disperatamente abissale nell’assenza di orizzonti esistenziali altri da quelli imposti dall’insensatezza di un circolo destinale: eppure Renato Carpentieri ne tira fuori uno spettacolo splendido. Una serata con Albert Camus:il malinteso in scena il 24 giugno alla Galleria Toledo per il NTFI, è perfetto nella sua realizzazione, con una regia asciutta ma geometricamente impeccabile, una prova attoriale decisamente riuscita, una scenografia poco ornamentale ma molto efficace.
Leit motiv dell’opera di Camus, torna ad imporsi il tema del destino, un destino tragico (nel senso letterale e greco del termine) accentuato dalla presa di coscienza fatalmente appresa; con un deus ex machina a contrario (nelle vesti di un maggiordomo silente e indifferente) che osserva ma non interviene, e che incide nel destino degli uomini solo mettendoli al corrente del significato di ciò che accade loro. Una madre e una figlia (Maria Grazia Mandruzzato, Valeria Luchetti), assassine e ladre seriali (per usare un gergo a noi prossimo), gestiscono una pensione, da cui traggono, attraverso i viandanti, materiale per i loro crimini. La loro esistenza scivola in una vuota ripetizione, in un paese che non ha nulla da offrire se non il passaggio di sconosciuti, cui si concede la sola doverosa ospitalità distante dell’albergatore. Le loro parole sono ricche di rimpianti, di solitudine, di perdita: una di queste, il fratello-figlio che fa ritorno dopo anni di lontananza (Fulvio Pepe), potrebbe sanarsi ma invece interviene a segnare il destino tragico dell’ensemble dei personaggi (madre, figlia, figlio, moglie del figlio interpretata da Ilaria Falini). Non riconosciuto, il figlio subisce fatalmente il destino di altri viandanti: e qui, il maggiordomo, recuperando i documenti del malcapitato, offre l’occasione alle due donne di apprendere l’eccezionalità della loro vittima: eccezionalità che diventa insopportabile alla madre, che decide di seguire il figlio, nonostante le proteste della figlia, risentita e invidiosa della scelta liberatoria del fratello, scampato alla mestizia di quel luogo; e quest’ultima, a sua volta, decide il seguire la scelta della madre, poiché incapace di sopportare la sua scelta mimetica del suicidio. Attorno, un Dio indifferente, simile a quello dei filosofi, che scruta, osserva, accompagna, ma non riceve né risponde, se non con un “no” che chiude la pièce e che egli rivolge alla moglie del figlio, implorante una soluzione per il proprio dolore per la morte del marito; un ‘no’ che esprime tutto il vuoto che le esistenze misurano quando si pongono verso di lui in preghiera.
Le prove attoriali sono eccellenti, Valeria Luchetti sopra tutti: asettica e cinica nell’espressione, con brevissimi punti di tenerezza, descrive pienamente il tono di un personaggio che ha tradotto la propria fragilità in violenza. Renato Carpentieri dirige uno spettacolo perfettamente riuscito ed interpreta magistralmente un Dio lontano, tutto ripiegato nel suo sguardo, che sa mostrarsi solo sottraendosi con un ‘no’ che abbandona gli esistenti al proprio inevitabile dramma. Da non perdere.
Una serata con Albert Camus:il malinteso da un progetto di Renato Carpentieri, scene Arcangela Di Lorenzo, costumi Annamaria Morelli, disegno luci Cesare Accetta, musiche Federico Odling, direzione di scena Amedeo Carpentieri, assistente alla regia Serena Sansoni, produzione Associazione culturale “IL PUNTO IN MOVIMENTO”.
Andrea Bocchetti