Messaggi d’@more è la commedia epistolare vista a Salerno il 14 aprile 2018 scritta da Massimo Meneghini e Andrea Castelletti, che ne firma anche la regia. L’idea attinge ad un espediente, in genere, non molto praticato cioè quello di adattare scenicamente la corrispondenza tra due persone reali o immaginarie, ma non è questo che importa. Qui al teatro Genovesi, un uomo e una donna seduti alle loro scrivanie, ci raccontano le loro esistenze attraverso una nutrita selva cartacea che nasce nell’infanzia e suggella una amicizia lunga una vita, anche se forse non sarebbe azzardato parlare di amore, quell’amore non vissuto, non consumato nella banalità del quotidiano e dunque tenace e resistente e a suo modo significativo. Lunghe missive, semplici bigliettini, telegrammi, cartoline, auguri natalizi e poi sms ed email, Paolo e Virginia non hanno mai smesso di parlarsi e forse anche di mentirsi, attraverso un foglio da riempire di suggestioni, stati d’animo, rimproveri, ricordi, inviti, resoconti, aspettative, speranze. Partiamo da molto lontano: la scuola elementare negli anni sessanta, le medie, il liceo dell’adolescenza sensuale e ribelle, l’università coi suoi fermenti, l’età adulta con le sue responsabilità ed i nuovi rapporti sentimentali, la maturità con i suoi bilanci, echi di fallimenti più o meno comuni, le molteplici preoccupazioni e rinnovate impossibilità.
Sullo sfondo, non mancano superficiali accenni politici a rievocazione di una società che ogni ultra sessantenne odierno ha vissuto (e forse ricorda con piglio nostalgico rimpiangendo in realtà gioventù, bellezza, salute?). Lettere tenere, ridicole, commoventi, ironiche, graffianti, che verranno appese man mano ad un filo, ci svelano due destini che si sfiorano, si rincorrono per decenni, per incontrarsi fugacemente sul finale amaro, che sancisce il rapporto e ne chiarisce definitivamente i limiti. Il compito di Michele Vigilante e Patrizia Rossari, che interpretano la coppia di amici di penna, amanti mancati e mancanti, non era semplice: tenere desta l’attenzione del pubblico confessando passioni e debolezze, evocando sogni e delusioni, momenti felici, gelosie, inezie, frecciate sarcastiche e diciamo che a parte qualche imprecisione passabile, ci è sembrato che l’attore abbia vestito meglio i panni di Paolo, cercando di disegnarne con incisività le sfumature psicologiche nei vari passaggi esistenziali mentre la sua partner, alle prese con le fragilità di Virginia, anima artistica sofferta ed infelice, risulta meno convincente e coinvolgente. Quello che proprio non piace e secondo noi contribuisce a rallentare ulteriormente ed inutilmente l’andamento complessivo, è l’uso, anzi l’abuso di musiche evocative degli anni in cui la trama epistolare si concretizza. Amarcord che tra l’altro attinge ad una playlist forse popolare, ma discutibile per i nostri gusti.
Proposto dalla compagnia Impiria di Verona, lo spettacolo ha riscosso un lungo applauso al Festival di Teatro XS.
Dadadago