L’abisso russo: Tra Delitto e Castigo

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Siamo all’apice dell’encomiabile stagione del Teatro Bellini di Napoli.
Da diversi anni, ormai, questo palcoscenico partenopeo si contraddistingue per scelte estetiche e sostanziali di estremo pregio.
Il 27 febbraio 2018, alla prima di DELITTO/CASTIGO, Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio celebrano il sommo scrittore russo senza disattendere alcuna aspettativa: il consenso unanime e inoppugnabile si contraddistingue durante la rappresentazioni per applausi scroscianti che addirittura  hanno interrotto il fluire drammaturgico senza avere remore per il ‘bon – ton’ teatrale.
Qual è la chiave di questo successo?
Che ci si possa schierare tra i cultori della letteratura russa o semplicemente collocarsi quali curiosi neofiti dell’eco di tale immensa cultura, la comprensione della psicologia dostojevskijana non può dubitarsi sia stata percepita per la sua verità oggettiva.
Sergio Rubini insieme a Carla Cavalluzzi compiono sicuramente un’operazione epica: condensare in una pièce teatrale il mastodontico scritto di  F. M. Dostoevkji, non poteva che essere un progetto più che ambizioso, ma visti i risultati, si è compiuto un miracolo degno di una vera e propria autonomia estetica, tale da non creare un’opera mimetica, ma al contrario posizionando la barra proprio tra l’indipendenza e la fedeltà all’originale.
É così che Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio ci riconducono nei travagli della psicologia cesellata e deformata quale emblema dell’umanità intera.
Dostoevkij ammalia per anni, per secoli, ogni delitto e ogni castigo convergono al di là dello spazio e del tempo in commistioni d’animo privi di giudizio e preconcetti, ma determinati da un puro piacere estetico per la letteratura che indaga l’uomo.
I due protagonisti si alternano in più personaggi della storia mai disattendendo la verosimiglianza, ma al contrario, attraverso l’ausilio dei valenti supporti attorniati e artistici di Francesco Bonomo, Francesca Pasquini e G.U.P. Alcaro, incontrano San Pietroburgo per mezzo di occhi ammalianti e pietosi.
Rodion Romanovič Raskol’nikov è studente squattrinato eppure avvinto dal demone dell’ideale circoscritto dall’ottica nichilista del superuomo, un nuovo Napoleone.
Dostoevskij passa per il fuoco di devastanti attacchi epilettici e da un padre dispotico, sino ad arrivare al culmine della resistenza: vive nel ‘braccio della morte’ sino a quando un magnanimo Nicola I commuta la pena di morte in prigionia nelle remote terre siberiane.
Quest’ultima esperienza sarà l’antefatto per ‘Memorie dal sottosuolo’, scritto dalla possente forza didascalica in cui – per mezzo dell’opera letteraria -, fatti e dissidi interiori vengono espressi in tristi esaltazioni del minimo concesso: nella realtà e nel romanzo, l’unico libro da poter leggere era la Sacra Bibbia.
Particolare non trascurabile.
È così, difatti, che il nostro Raskol’nikov si erge al di sopra del bene e del male: da ventitreenne compiaciuto della propria malattia (fisica o interiore?) decide di porre una sfida alla propria coscienza, non alle leggi umane, non alle leggi divine, ma alla propria psiche.
Questo atto di estrema presunzione, però, consentirà di sfiorare le diverse connotazioni dell’animo umano.
Il meraviglioso merito di Dostoevkji ce lo racconta Virginia Woolf, la quale grande saggista oltre che scrittrice fa rilevarne le peculiarità: “Per lui non fa differenza che siate un nobile o una persona semplice, un barbone o una gran dama. Chiunque voi siate, siete un contenitore di un liquido perplesso, questa materia nebulosa, in fermento, pregiata: l’anima”.
Dostoevkji non è mai scontato nella parvenza di luoghi comuni; buoni e cattivi possono alternarsi tra poveri e nobili, uomini e donne.
Raskol’nikov uccide per sfida, non per fame; Sonja si prosituisce, ma lo redime; Marmeladov è ricco, ma infimo nell’animo; l’usuraia, anziana donna, è tutto fuorché magnanima.
Un omicidio che decide di rivelarsi per rimettere lo studente – forse – , ancora una volta, al di sopra del bene e del male, anche da infimo ‘pidocchio.
La scenografia di Gregorio Botta non destituisce che il grande livello della narrazione, cupa ma ben definita, attraverso ‘anime’ che cadenti dall’alto ben accrescono la sensazione dell’inquietante svolgersi delle vicende.
Una rappresentazione che senz’altro deve ringraziare anche l’operato dell’aiuto regista Gisella Gobbi nonché la Produzione Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana.
Non c’è altro da sondare: un’opera letteraria immensa avvolta nel perfetto palcoscenico portato in Delitto/Castigo in scena a Napoli presso il Teatro Bellini sino al 4 marzo.
Imperdibile.

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