Trasformare l’intera area metropolitana di Napoli in un gigantesco parco tematico è il progetto della famiglia Negromonte, protagonista del melologo di Fabio Vacchi su testo di Giuseppe Montesano dal romanzo “Di questa vita menzognera”, eseguito in prima assoluta venerdì 16 febbraio al Teatro San Carlo che ha commissionato la partitura.
Due voci recitanti, Toni Servillo e Imma Villa, con Orchestra e Coro stabili diretti da Donato Renzetti per dare vita ad una pagina musicale che mira a comunicare fin quasi a cercare l’interazione comiziale con il pubblico, oltre quello che Montesano definisce “analfabetismo emotivo e mentale”.
L’idea di mettere in musica il romanzo era nata nella mente di Toni Servillo che già aveva inserito brani del romanzo in proprie performance.
Napoli viene distrutta e ricostruita come gigantesco videogioco in cui gli abitanti sono ridotti ad avatar di loro stessi in un Neapolis Dream, museo vivente in cui non pensare, ma “mangiare e fottere” e liberarsi da giudici fastidiosi e così facendo ciascun abitante viene condannato senza appello ad un “ergastolo esistenziale” nella prigione ludico-virtuale.
È il mondo nuovo progettato dall’imbonitore visionario Calebbano, retto da un ossimoro di edonismo e morte: “Carpe diem lux aeternam”
Fabio Vacchi considera quella del melologo la forma più alta a ed espressiva di composizione e affida alla voce femminile la rappresentazione della coscienza ed è essa alla fine, a indicare la strada al Coro, che è vero personaggio e il solo a cantare.
Comunicazione e comprensibilità sono le qualità vincenti del melologo ascoltato al San Carlo, e la musica è capace di “resistere” al giganteggiare di Toni Servillo, a proprio agio nel dare voce a un personaggio e a situazioni che strizzano l’occhio a Shakespeare come a Fritz Lang e a The Truman Show, con un “Calebbano”, che non può non rimandare al mago di “The Tempest” e una narrazione che fluisce tra Sterminator Vesevo e Masaniello per passare per la Repubblica Napoletana del 1799 e i canti sanfedisti.
La recitazione alterna toni allucinati e da imbonitore a enfasi da demagogo e da scientologista.
Grazie alla musica, condotta da Renzetti con la consapevolezza di dare vita a molto più di una colonna sonora, ma di diverso da una sinfonia, il testo si staglia e la costruzione musicale trova legittimazione e godibilità.
La speranza che è prerogativa femminile di generazione di vita, da un’eccellente Imma Villa si infonde nel Coro preparato da Marco Faelli e, con un episodio in modalità quasi rinascimentale, annuncia il risveglio che libera dall’horror vacui di una notte che sembrava infinita…”il mattino verrà e saremo giudicati sull’amore. E così sia”.
Applausi prolungati, ma non calorosissimi: troppe riflessioni occupano la mente dello spettatore, ed è ciò che gli autori si erano prefissi.
A più di 50 anni da “Le mani sulla città” di Francesco Rosi, Montesano e Vacchi ci propongono una narrazione per molti versi ancora più inquietante perché testimonia un’evoluzione dei linguaggi e dei metodi malavitosi e del populismo politico, cui si contrappone l’indebolimento della consapevolezza dei cittadini, prigionieri in un grande, allucinato luna park, gestito da un cinico Mangiafuoco dal colletto bianco.
Dario Ascoli
Foto Emanuele Ferrigno ©