Un San Carlo gremito di un pubblico caloroso e attento ha ospitato il concerto del violinista Salvatore Accardo, solista accanto all’orchestra sancarliana diretta da Juraj Valčuha che ha sostituito Zubin Mehta impossibilitato ad essere presente per motivi di salute, la sera di venerdì 26 gennaio scorso (con replica pomeridiana il giorno successivo). Avvolgente il pubblico napoletano che con palpabile emozione di fronte a un musicista di grande levatura facente ormai parte della nostra storia, ha seguito col fiato sospeso l’esecuzione del Concerto n.2 per violino e orchestra di Béla Bartók, che lo ha rivelato mirabilmente padrone tuttora della sua tecnica virtuosa e di una ricchissima esperienza musicale. Il clima della composizione dell’autore ungherese che è tra i maggiori del Novecento, intrisa di spunti folclorici e di musica etnica in conformità con l’indirizzo musicale prediletto dall’autore in tutta la sua opera, nonostante l’impianto più classico di questo concerto per violino (datato 1938) rispetto al primo, è stato anticipato dalle Danze di Galánta per orchestra di Zoltán Kodály, contemporaneo e amico di Bartók.
Accattivante e brillante l’esecuzione dell’orchestra del San Carlo capace di coglierne l’aspetto apparentemente rapsodico e improvvisativo e al contempo quello più sostanziale dei ritmi e degli interventi fantasiosi dei singoli timbri calcolati al millimetro, così come le variegate dinamiche della composizione dosate ad arte. Galánta, piccola città della Slovacchia all’epoca facente parte dell’impero austroungarico, in cui risiedette il musicista in un periodo felice della sua infanzia, lasciò al musicista un patrimonio di danze popolari e gitane ascoltate dalla locale banda di cui si ricordò in occasione della committenza del brano in programma, composto per gli ottant’anni della Società Filarmonica di Budapest.
Echi della musica balcanica e turca del verbunkos, la caratteristica forma di danza degli Ussari cui è maggiormente improntata la composizione, percorrono le cinque danze nella conduzione orchestrale agile e duttile di Valčuha che persegue un’elegante e coerente organicità pur nel complesso intrecciarsi dei temi e nella mutevolezza degli andamenti tipica della musica popolare, rendendo appieno l’affascinante spazialità di questa musica.
Su tale magica atmosfera si è stagliato il concerto per violino, netto, tagliente e allo stesso tempo lirico nella calda e misurata musicalità di Accardo che si è perfettamente conformato allo stile di questa composizione che Bartók acconsentì a collocare sulla scia del virtuosismo dei celebri concerti di Beethoven, Mendelssohn e Brahms, anche per volontà del primo virtuoso destinatario, Zoltán Szekély, ma in un’ottica di proporzioni e asciuttezza novecentesche, senza sbavature o esibizionismi, offrendo soluzioni assolutamente originali nel conciliare lo spirito folclorico con l’avanguardismo europeo. Nell’Allegro iniziale in una libera forma-sonata, in cui il solista entra subito in azione, Accardo appare assorto e concentrato nel rendere la tensione lirica e le asprezze di questo movimento in bilico tra diatonismo e cromatismo, muovendosi con disinvoltura nell’esecuzione della dissonante e ardua cadenza, prima di approdare alla più distesa cantabilità che segue all’ingresso dell’orchestra. I valori elegiaci del secondo movimento Andante tranquillo sono scaturiti dal succedersi incalzante delle splendide variazioni che lo costituiscono, in cui il violino svolge una sorta di intimo dialogo con se stesso toccando punte di un melodizzare dolente. Incantatoria risuona la conclusione in cui anche l’orchestra, che nell’arco dell’intero movimento dà prova di grande bellezza sonora nel risalto timbrico delle sue diverse sezioni ( va segnalato l’apporto delle percussioni), approda ad una affascinante rarefatta espressività. Ha colpito infine, tra l’altro, del complesso movimento finale Allegro molto, l’energia espressa dal solista nella virtuosistica esplosione di irresistibile vitalismo popolare della Coda. Prolungati sono seguiti gli applausi del pubblico entusiasta compensato nella richiesta di bis da un cavallo di battaglia del repertorio virtuosistico del violino e dello stesso Accardo, già suo brillantissimo interprete in giovanissima età, il ventiquattresimo dei Capricci paganiniani eseguito col piglio incisivo di sempre.
La seconda parte della serata è stata interamente occupata dalla quarta Sinfonia di Beethoven, full immersion nella musica assoluta beethoveniana eseguita ad alto livello dall’orchestra napoletana che ha coinvolto per discorsività e consequenzialità logica del fluire sonoro dietro la direzione ‘moderna’ e quasi ‘nervosa’ di Valčuha, nel senso di mobile, sfaccettata, capace di restituirci l’eterna attualità di questa musica da cui è emersa in primis un’idea di dinamismo e di densità.
Ampi i consensi del pubblico rapito dall’abbondanza di stimoli offerti dalla serata e si replica il successivo 27 gennaio, un concerto che risulterà forse memorabile, nel giorno in cui il San Carlo, per la prima volta dopo molti anni, non celebrerà la Memoria.
Rosanna Di Giuseppe