Il nuovo allestimento del testo L’apparenza inganna di Thomas Bernhard (già premio Ubu per la regia nel 2000), andato in scena dal 13 gennaio 2018 al Teatro Nuovo di Napoli, ritrova il monologo dialogato di due personaggi costretti nella propria solitudine e schiacciati dalla necessità del confronto. Due fratelli vivono separati in una Vienna che fa da sfondo assente, e uniti dall’abitudine della fissità di un incontro bisettimanale. Ognuno di loro fa a turno da ospite, nel proprio appartamento, e si abbandona ad un confronto che sa di ripetizione, anzi di coazione, e che diviene un viaggio amaro nella memoria. Una memoria condivisa ma anche singolare, come a ostentare una personale visione del quotidiano, tutta rinchiusa nell’incomprensibilità dell’altro, seppur questo vi partecipa.
I due fratelli, Karl il giocoliere, Robert un attore, sono entrambi in pensione: Karl riceve la visita del fratello il martedì, Robert viceversa il giovedì. I loro incontri sembrano riecheggiare risentimenti, eventi antichi rinfacciati, riproposti pedissequamente, quasi a sollecitare un polemos, che ridia vita al passato: il tono non è mai davvero drammatico, tutto scivola nel grottesco, anche nelle parti più gridate.
La drammaturgia è articolata in due atti, ognuno dei quali è dominato da lunghi monologhi, i quali in qualche modo si prolungano anche laddove diventano dialoghi: sembra che ognuno dei personaggi parli unicamente a sé stesso, anche nell’interlocuzione. L’unico punto di incontro è paradossalmente nella contesa imposta da Mathilde, moglie di Karl, che decide di lasciare la casetta dei fine settimana a Robert: l’invidia e l’irritazione di Karl, nonché la sorpresa di Robert, sembra smuovere una solitudine, che cerca di trovare una soluzione nel tormento un po’ buffonesco dell’interrogativo non scioglibile delle volontà di Mathilde.
La drammaturgia di Sandro Lombardi del testo di Bernhard, pur percorrendo temi psicologici non semplici da attraversare, ha un ritmo molto lento, difficile da seguire nei dettagli. Il lato grottesco non è, a nostro modo, evidenziato con forza, e le prove attoriali, seppur discrete, restano incorniciate in una regia (curata da Federico Tiezzi), non troppo incisiva. Lo spettacolo si distende quindi in un tempo forse troppo dilatato (circa due ore), a scapito di una partitura che probabilmente guadagnerebbe molta più forza se ricevesse di tanto in tanto qualche accelerazione. E invece, tutto scivola in una dilatazione, quasi assopita, soprattutto quando a prender vita è il monologo: più che un’esplorazione di sofferenze e tormenti, lo spettacolo diviene un lungo lamento, in cui non si smette di desiderare un lampo di passione, che però non arriva. La scenografia di Gregorio Zurla è canonica ma efficace. Il pubblico sembra aver apprezzato, ma dagli umori percepiti in sala durante lo spettacolo, non ci sentiamo di dire, seguendo il titolo, che in chiusura le apparenze siano state del tutto sincere.
Visto il 20 gennaio con Sandro Lombardi e Massimo Verdastro, costumi di Giovanni Buzzi, luci di Gianni Pollini. Produzione: Associazione Teatrale Pistoiese – Compagnia Lombardi-Tiezzi.
Andrea Bocchetti