Nell’ambito della rassegna “La Classica Domenica”, organizzata da “Ouverture” e in programmazione al Teatro Bellini di Napoli, il 3 dicembre alle 11.30, inconsueto orario mattutino, è andata in scena una riduzione del melodramma giocoso in due atti di Gaetano Donizetti dal titolo “Un sorso di Elisir”.
«Elisir è una piccola e intensa favola d’amore. Leggendola a Napoli questa favola si veste della polpa e dei sapori di una città intrisa di maschere e tipi e tradizioni. Totò, Sofia Loren e i personaggi che De Sica, fra gli altri, ha saputo ritrarre in quelle commedie sempre in bilico fra leggerezza, umorismo e malinconia, sono i volti attraverso cui questa favola ritrova per noi spazio e forza»: così la regista Maria Luisa Bigai chiarisce la scelta relativa all’ambientazione.
Ancora Bigai precisa: «Gli anni ’50 sono l’ultimo momento in cui questa favola fu possibile con la sua freschezza di vita agreste »
Sullo sfondo della trama donizettiana, infatti, si staglia la Napoli del Secondo Dopoguerra che vive la frattura profonda tra città e campagna, cercando di far fronte, spesso con una scellerata politica di abusivismo edilizio, all’esigenza di inglobare le consistenti masse contadine e vede una embrionale fase di conversione della sua economia essenzialmente rurale.
È la Napoli nient’affatto Milionaria che Gennaro Jovine, disperso e creduto morto, ritrova una volta tornato a casa stordito dalle atrocità e dalle brutture della guerra, una città inginocchiata e piena di contraddizioni, ma con ancora un barlume di speranza. La celeberrima commedia di Edoardo De Filippo, rappresentata per la prima volta quando l’evento bellico non era ancora terminato e divenuta popolare anche grazie alla rappresentazione cinematografica del 1950, presentata in concorso a Cannes l’anno successivo, dipinge a tinte forti e ci restituisce uno spaccato della società del tempo che lascia l’amaro in bocca.
Nella originale e arguta chiave di lettura della regista non a caso Adina è una vedova piuttosto emancipata e intenta ad occuparsi dei suoi affari, come non rivedere in lei quella Donna Amalia Jovine, moglie di Gennaro, donna forte e pratica, cinica per necessità, che pur di guadagnare soldi per sfamare la famiglia, abitante del tipico “basso”, pian piano, con la complicità di Enrico “Settebellizze”, con cui intraprende anche una relazione, diviene pedina della borsa nera. Ed ecco la famosa barcarola a due voci presto rivisitata: “La Nina (Magnani) contrabbandiera e il Senator Tre Denti”.
Facile inoltre cogliere il richiamo allo “sbandamento” dei costumi in seguito allo sbarco alleato: l’adolescente figlia Maria Rosaria viene irretita da un militare statunitense che reca cioccolato, tabacco e calze di nylon. La cialtroneria di Dulcamara diviene quasi giustificabile in questo mondo difficile di gente che vive di espedienti, costretta dalla necessità spesso ad una rinuncia ai valori tipica del “mors tua, vita mea”. Per un caso fortuito, come in un cerchio che si chiude, anche nella Napoli Milionaria il dipanarsi della vicenda è strettamente legato all’efficacia, in questo caso reale, di un farmaco, di una pozione, sulla piccola Rituccia, la cui sorte è rimessa al fato: “Ha da passá ‘a nuttata”.
Posizionata sul palcoscenico e non in buca, quasi a fare da scenografia alle vicende narrate e con un simpatico momento di interazione tra i violini e Nemorino, l’Orchestra Corallium ha dato buona prova di sè, sotto la bacchetta del maestro Luigi Grima che ha, a tratti, dilatato in senso espressivo.
Nel ruolo de “Il narratore”, indispensabile in più di un’occasione al progredire stesso della vicenda, Emma Innacoli ha saputo caratterizzare un personaggio esilarante, una vera e propria macchietta, che giocando sapientemente con le diverse tonalità e colori della voce e con i rallentando e i diminuendo si è conquistata dal primo momento il favore del pubblico culminante nella divertente gag: “Gallina vecchia fa buon Broadway!”.
Convincente il soprano dal timbro chiaro Clementina Regina ammaliatrice del sensibilissimo Nemorino portato in scena da Stefano Sorrentino. Ottima presenza scenica per il Belcore Made in USA del baritono Francesco Auriemma. Buoni volumi e disinvoltura del Dulcamara/De Curtis tratteggiato da Luca De Lorenzo mentre spigliata e fresca è parsa la Giannetta di Francesca Di Sauro. Maestro sostituto Mario Buonafede.
Mariapaola Meo