«A Salisburgo, il primo capolavoro del teatro musicale mozartiano, il Singspiel che fondava l’opera tedesca attraverso alcuni modi dell’opera italiana, l’avventura di Belmonte e Costanza e del Pascià Selim trovò in me una felicità inventiva, un abbandono alla musica e alle parole, al senso illuministico della trama, che ancora ricordo con emozione»
Così Giorgio Strehler, autore della più memorabile regia del Die Entführung aus dem Serail (Il ratto dal serraglio) curata per il Festival di Salisburgo del ’65.
E ancora, Luciano Damiani, che si occupò dell’impianto scenico e dei costumi, a proposito della sua “intuizione felice”, ricordava: «Allorché feci il primo sopralluogo al Kleines Festspielhais di Salisburgo non riuscii a trattenere un sospiro di delusione… E mi venne l’idea di concepire il luogo dell’azione scenica “al di fuori dell’arco del boccascena”. La luce cadeva uniforme su tutta la scena, escludendone però una striscia sottile alla ribalta. Al punto che i personaggi, quando si spingevano fin lì, diventavano neri, cioè delle “silhouettes”. L’effetto delle ombre cinesi, tributo a certa iconografia settecentesca, “contribuiva a segnare le echappées della musica verso la fantasia»
È proprio in questo storico allestimento, ripreso da Mattia Testi e assurto a lezione di storia della regia, che il Massimo napoletano ha ospitato, dal 29 ottobre all’8 novembre, questa favola turca che rappresenta la più esotica delle opere del genio salisburghese. Produzione di esordio, di un Mozart appena 25enne, presso la corte e il pubblico viennesi.
Strehler e Damiani mirano a colpire da subito l’occhio e la fantasia dello spettatore che si trova al cospetto di un praticabile che sovrasta la buca dell’orchestra e modifica di fatto e di effetto la prossemica spettatore-attore, suggerendo un’idea di teatro nel teatro.
La reinterpretazione del rapporto palco-platea avviene attraverso il superamento dei margini del primo verso la seconda.
«In scena solo quattro quinte, dipinte, come nel teatro barocco, che – afferma Carla Ceravolo, che ha ripreso le scene – scorrendo e mescolandosi come le carte da gioco di un numero di prestigio fanno apparire i personaggi, le barche… poi sul fondo una striscia di mare appena baluginante a rappresentare la libertà agognata»
Il linguaggio di Mozart acquisisce in quest’opera una maturità ed una profondità di contenuti che superano di molto la storia cui si riferisce. I personaggi infatti non presentano caratteristiche originali nel panorama teatrale dell’epoca, e anche la figura del signore turco che dimostra magnanimità e tolleranza è, a quel tempo, già nota.
Ma la grandezza di Mozart e del librettista Stephanie sta proprio in un superamento, esaltato dalla regia strehleriana che pur tuttavia rende omaggio alla Commedia dell’Arte, di quest’ultima in favore di una “commedia di carattere”.
Attraverso l’esaltazione della Sehnsucht, presente in germe nei protagonisti della vicenda, si creano, infatti, i presupposti per una drammaturgia della lontananza, del desiderio e del ricordo.<<
Entrando nel merito della recensione della recita del 7 novembre 2017, va data cronaca del successo trionfale del soprano partenopeo Mariagrazia Schiavo, che pure all’ennesima replica in un ruolo vocalmente impegnativo, ha confermato abilità tecnica e sicurezza scenica.
Fine l’interpretazione offerta da Steve Davislim, non nuovo nel ruolo di Belmonte, turbata da un’emissione non sempre funzionale nella circostanza. Deliziosa e spiritosa Regula Mühlemann nelle vesti dell’inglesina tutto pepe e gelosa della propria libertà personale, Blonde.
Efficace l’Osmin di Bjarni Thor Kristinsson e convincente nel mezzo carattere l’altro tenore Mert Süngü ad interpretare il servo Pedrillo, eroe suo malgrado.
Recitazione nobile e carisma per Karl-Heinz Macek nei panni dell’autocrate orientale Selim e note di elogio per il mimo Marco Merlini. Sul podio dell’edizione napoletana un misurato Hansjörg Albrecht ad assecondare le articolatissime linee vocali mozartiane. Buona prova per l’orchestra e disciplinato il Coro di Marco Faelli. I costumi, fiabeschi, dai colori vivaci e dalle fogge caratterizzanti, sono stati ripresi da Sibylle Ulsamer.
Mariapaola Meo
Foto Emanuele Ferrigno ©