“Gerusalemme celeste e terrena, perduta e liberata”, con un doppio chiasmo, dedicato alla musica antica, la IUC inaugura la stagione 2017/18.
Sul palco dell’Aula Magna, il 14 ottobre, l’Accademia degli Astrusi, diretta da Federico Ferri, ha accompagnato il soprano Anna Caterina Antonacci in un programma incentrato sulla Santa Città. La Gerusalemme Celeste e Perduta delle “Lectiones” di Giovanni Paolo Corona, tratte dalle Lamentazioni del profeta Geremia ed eseguite in prima esecuzione moderna, hanno incontrato la Gerusalemme di Tasso, Terrena come le passioni della maga musulmana Armida che si strugge per l’amore non corrisposto di Rinaldo, e Liberata come l’anima di Clorinda consacrata al cattolicesimo nel momento in cui lascia il corpo della paladina.
Tra le tante opere dedicate alla figura di Armida, i virtuosi di Bologna hanno scelto quella di Lully, che venne rappresentata a Roma nel 1690, eseguendone l’Overture, l’Entrance, la Passacaille e le arie “Enfin, il est en ma puissance”, “Ah, si la liberté me doit etre ravie”, “Venez, Haine implacable” e il finale d’opera “Le perfide Renaud me fuit”. Sempre dalla Gerusalemme Liberata è tratto il “Combattimento di Tancredi e Clorinda” di Claudio Monteverdi, il cui 450° anniversario si avvia pian piano alla conclusione.
L’esecuzione del celebre Madrigale ha disatteso le aspettative, lo “stile rappresentativo” caro all’autore, è stato annullato dalla scelta dell’Antonacci di esibirsi in un “one-woman show intorno al Combattimento” come da lei stessa definito.
La voce troppo vibrata non ha permesso di intendere il testo nelle sue parti più patetiche ed a nulla sono valsi i cambi di strumentazione ideati dal maestro Ferri, probabilmente per sopperire alla mancanza di alternanza timbrica delle voci, più che per un desiderio di sostituirsi alle indicazioni del compositore.
L’intelligibilità del testo è stata messa a dura prova anche dalla scelta di organico, in numero quasi tre volte superiore a quanto indicato da Monteverdi, e dall’accelerando che nella quarta stanza ha finito per annullare l’hochetus che in maniera mimetica simulava i colpi di spade. Sempre in contrasto con le indicazioni fin troppo chiare dell’autore, che limitano “gorghe e trilli” alla sola stanza che incomincia “Notte”, è stata la scelta di fiorire al di fuori di questa.
Certamente Biber conosceva l’opera di Monteverdi e da lui, volontariamente o meno, aveva appreso l’uso del “concitato genere”, che trova la sua prima espressione proprio nel Combattimento. Questo nuovo stile venne coniato per sottolineare le rappresentazioni belliche e riprodotto dalla scomposizione della semibreve in sedici semicrome.
Rappresentazione d’ira dunque, e non madrigalismo per la mano tremante di Tancredi, il tremolo, come viene chiamato in termini moderni, ha trovato ampio sfogo nella “Battaglia à 10” di Biber presente nel programma.
L’esibizione, già assai ricca, è stata ulteriormente accresciuta dal “Concerto Grosso in do min op. 6 n. 3” e dalla “Sinfonia per l’oratorio Santa Beatrice d’Este di Giovanni Lorenzo Lulier” di Arcangelo Corelli; apparentemente estranei al tema della serata, questi brani trovano il loro spazio alla luce della competizione, o meglio concertazione, espressa da Concertino e dal Concerto Grosso.
Il gesto del direttore, a volte troppo in stile corale e a volte assente, non ha impedito di far emergere l’ottima qualità degli strumentisti che a tratti ha sfiorato l’eccellenza.
Emma Amarilli Ascoli