Teodor Currentzis è una figura singolare sulla scena della musica: sogna di fondare “ monasteri musicali” e opera e quasi vive in una “comune” con i suoi musicisti di MusicAeterna, nella città di Perm nella Rissa orientale europea.
E con il suo ensemble vocale e strumentale, ma diremmo meglio coro e Orchestra veri e propri, il talento greco di nascita e di adozione russo, ha concluso, davanti a spalti sold out di Villa Rufolo, la sezione sinfonica del 65mo Festival di Ravello, diretta da Alessio Vlad.
Una prima parte del concerto è stata dedicata ad una suggestiva alternanza di vocalità antica e contemporanea, apertasi con un canto di Hildegard von Bingen che, iniziato nei giardini della villa ravellese, si è sviluppato in una processione che ha condotto il coro Musicaeterna sul palco del Belvedere.
E così si sono succeduti brani di Alfred Schnittke (1934-1998), Igor Stravinskij (1882-1971), Henry Purcell (1659-1695) ,Arvo Pärt (1935) e Knut Nystedt (1915-2014), in cui la compagine corale ha dato prova di strabiliante capacità di intonazione, con una corda dei bassi in grado di sostenere lunghi passaggi interamente sviluppati su tessiture sotto il rigo.
L’emissione di tutti i coristi rivela una omogeneità assoluta e se un’annotazione si può fare essa riguarda l’eccessiva “regolarità” di scansione adottata nei brani di Henry Purcell che appartenendo ad un periodo che oggi si è soliti definire, per quanto impropriamente, “barocco”, anche in ragione di quanto l’autore prescrive, richiederebbero un andamento “inegale”, quasi francese, ovvero quel gusto e quelle prassi che proprio dalla natia terra di Francia il giovane Purcell portò con sé nell’Inghilterra che lo avrebbe adottato e gli avrebbe tributato ogni sorta di onori e successi.
Validi, ma non trascendentali i quattro solisti impegnati nella partitura mozartiana: il soprano Julia Lezhneva che ha rivelato buona estensione ma timbro a tratti spigoloso e volume medio, mentre Catriona Morison, un mezzosoprano, ha saputo marcare la propria presenza vocale con sicurezza.
Il tenore Thomas Cooley ha probabilmente pagato lo scotto dell’acustica all’aperto, apparendo preoccupato di emettere un sufficiente volume, infine il basso Tareq Nazmi, dalla voce ben estesa nel grave ha solo sorpreso per il riverso, nella prima frase del “Tuba mirum”, di un fiato “di sicurezza” sul battere prima del lungo si bemolle,
Esecuzione nel complesso di grandissimo pregio e a tratti emozionante, costellata di ripetute finezze dinamiche del Coro, tanto da essere accolta da quindici minuti di applausi entusiastici.
Un solo appunto sostanziale si può rivolgere a chi dichiara con fierezza di voler fondare un monastero musicale: che la pronuncia latina ecclesiastica, post rotacismo, sia più accurata; se l’abito non fa il monaco, è altresì certo non faccia il latinista.
Mariapaola Meo
foto di Giuseppe Izzo