Atmosfera delle grandi occasioni, martedì 27 giugno 2017 nel cortile di Palazzo Reale a Napoli: la prima al NTFI di “Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco” vede la partecipazione di un folto pubblico, con biglietti esauriti da tempo, e la partecipazioni di autorità (tra cui il Presidente della Regione Campania De Luca).
Il testo di Stefano Massini, premio Tondelli 2004, è messo in scena con la regia di Alessandro Maggi, scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta, luci di Valerio Tiberi e Andrea Burgaretta, musiche di Giacomo Vezzani. Gli interpreti sono Alessandro Preziosi, Francesco Biscione, Massimo Nicolini, Roberto Manzi, Alessio Genchi e Vincenzo Giampa.
Il titolo esprime un prisma ampio di sensazioni, associate con allegorica eterogeneità che, secondo l’autore, intendono esprimere una “non-logica dei sensi” e una “dissonanza di cognizione”. All’interno di una scenografia che erge lo spazio scenico attraverso un cubo aperto e in declivio, dal cui candore sorge un accennato bassorilievo del “campo di grano con volo di corvi”, dipinto del luglio 1890, venti giorni prima della morte del suo autore, si narra del dramma delle “prigioni” di Vincent Van Gogh, rinchiuso nei suoi tormenti, nel suo delirio allucinatorio, nella sua solitudine. La prigione personale del pittore trova la sua “metafora reale” nel manicomio di Saint Paul de Manson, in cui la narrazione prende corpo. Tutto si costruisce nell’oscillazione tra il visionario, che avvolge il protagonista e che si incarna offrendosi allo spettatore, e la realtà dei suoi aguzzini, non priva di caratteri grotteschi e alterati. Vincent è preda della proiezione del suo amato fratello Theo, cui è demandata l’ultima speranza di libertà; ma è soprattutto preda degli infermieri e del dottor Vernon Lazàre, cui tenta di porre rimedio il direttore del manicomio, il dottor Peyron, che dopo aver interrotto il supplizio dei tre, instaura un dialogo solitario che si distende in tutta la seconda parte dello spettacolo. La narrazione ha due tempi: nel primo, essa di articola attorno alla visione che Vincent ha della visita di suo fratello Theo e l’intervento degli infermieri e del dottor Vernon Lazàre. La promessa del Theo fantasmato, che giura di esserci per poter parlare con Vincent, viene sconfermata dall’intervento dei tre “aguzzini” che cinicamente ironizzano sulla presenza delirata e che giustifica loro la proposta di un internamento prolungato e più incisivo. Il secondo tempo si sviluppa dall’entrata in scena del dottor Peyron, il quale impone la propria posizione opponendosi ai tre e mostrando un’attenzione più sensibile all’animo tormentato di Vincent. Di qui il dialogo solitario tra i due. In entrambi i tempi c’è il filo comune della rincorsa di Vincent verso il proprio abisso e al contempo il tentativo di sfuggirne. Il delirio è ritmato dalla lucidità del protagonista, che aspira alla solitudine pur soffrendola, che contempla il dolore pur cercando un sollievo, che si abbandona alle proprie inquietudini pur sentendo la necessità di portarle fuori nell’espressione. Il testo di Massini ben descrive questa costellazione di contraddizioni in cui Vincent ha vissuto; mostra la necessità di un dolore che si è imposta dietro la sua opera sublime; illustra il consumarsi di un corpo sovrastato da tanta energia. La regia dello spettacolo segue il ritmo del testo in modo convincente, rendendo in modo efficace l’equivocità del rapporto delirio-realtà.
Gli attori pagano invece lo scotto di trovarsi di fronte ad un’interpretazione egregia di Alessandro Preziosi, per cui non sempre sono all’altezza quando si tratta di seguire le intensità drammatiche di cui il protagonista dà prova. L’insieme non manca di qualità ma perde di incisività quando le differenze fra le qualità attoriali tra Preziosi ed i suoi compagni di scena si rendono manifeste. Da vedere.
Andrea Bocchetti