Fotografia in bianco e nero di un salotto borghese:Francesco Paolo Tosti (1846-1916)

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Le sorti della figura di Francesco Paolo Tosti hanno seguito, forse non del tutto a ragione, quelle della considerazione del genere musicale nel quale il compositore abruzzese fu particolarmente prolifico: la Romanza da salotto.
Ma se la grande abilità e facilità creativa di un autore possono assicurargli successo e visibilità mondana in un’epoca, sul versante opposto esse rischiano, ad un’analisi sommaria, di associare la statura dell’artista al giudizio critico di quel periodo storico-politico e, talvolta, persino alla condanna morale dello stesso.
Il metodo analitico storico-materialistico, codificato ed esaltato da Karl Marx e ampiamente adottato da Arnold Schoenberg in campo musicale, se ha permesso di realizzare analisi approfondite nel macrosistema, ha, altresì, ulteriormente sfocato in secondo piano tutte quelle figure che, con diverso sforzo, successo e impegno, hanno operato e creato in direzione anacronistica rispetto al sistema economico e politico in cui esse sono vissute.
Così, per i decenni di fine ‘900, un poeta come il pescarese Gabriele Rapagnetta, meglio conosciuto come D’Annunzio (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera, 1º marzo 1938), è stato associato nella condanna al fascismo, di cui il letterato fu sostenitore, salvo, successivamente, separare il giudizio dell’ intellettuale da quello del paladino del Duce.
Uno studente, ad un esame di maturità degli anni ’70, rispose con prontezza di spirito sessantottino al docente che gli faceva notare che “La pioggia nel pineto” fosse un’opera indovinata:
«Professore, con tutto il rispetto, non mi sarei mai espresso sul talento di meteorologo del Vate…».
Il Nostro musicista è legato al poeta pescarese da molto più della corregionalità, dell’amicizia e della collaborazione nella composizione di alcune romanze; nato a Ortona il 9 aprile del 1846, il compositore, dopo diverse fortunate residenze, concluse il proprio viaggio terreno a Roma il 2 dicembre del 1916.
La nuova classe emergente e la nascita della Romanza da Salotto
Le biografie ci raccontano di un ragazzo assai dotato, il cui talento venne presto scoperto dal Maestro di Cappella del Duomo di Ortona, tal Gaetano Paolini, buon musicista e insegnante di violino.
Appena dodicenne, e le cronache non ci rivelano in quale registro vocale, Francesco Paolo si fece notare quale cantore durante una cerimonia solenne nella Cattedrale della sua città, dal maestro Paolo Serrao, compositore calabrese e docente presso il Conservatorio di Napoli, che, a quel tempo, era diretto dall’autorevolissimo Saverio Mercadante.
Lungi dall’essere condizionato da gelosie di insegnante, il maestro Paolini fece concorrere il suo giovane allievo alle selezioni per l’ammissione a San Pietro a Majella, prova che fu brillantemente superata, e, nel 1857 Tosti fu ammesso anche beneficiando della gratuità, prevista per gli studenti meno abbienti.
In pieno corso, dieci anni dopo, nel 1866, Tosti conseguì il diploma in violino, mentre proseguiva negli studi di contrappunto con il maestro Carlo Costa e di composizione con il maestro Carlo Conti.
E’ utile, per una corretta collocazione storica del compositore abruzzese, rilevare la non casuale circostanza che egli sia nato negli anni in cui Verdi completava la cosiddetta Trilogia popolare ed è lecito immaginare che quelle opere abbiano accompagnato la crescita del giovane Francesco Paolo.
E’ altresì rilevante come la formazione a Napoli, nel maggiore Conservatorio italiano del tempo, sia coincisa con il processo unitario, in vero forzato, che immancabilmente si ripercosse sui programmi e sugli stili compositivi in quella città che aveva perso il ruolo di capitale.
Lo stesso Verdi, dagli scranni del parlamento del neo costituito Regno d’Italia, ebbe a lamentarsi del disinteresse del nuovo governo sabaudo per le sorti degli istituti di formazione musicale.
Lo stile “napoletano” che aveva caratterizzato il XVIII secolo e che nella prima metà dell’800 si era trasfuso nelle opere di Rossini, Donizetti e soprattutto di Bellini, nel giudizio della nuova classe dominante assumeva un che di straniero, se non di ostile.
Il nuovo linguaggio avrà patrie diverse, e, i pur illuminati talenti napoletani, quali Martucci, Platania e Alfano, che proporranno stili più sinfonici ed europei, si collocheranno su posizioni di secondo piano nel panorama musicale.
Il pragmatico Tosti, ben consapevole delle difficoltà di affermarsi con stili e codici che avevano visto lo scarso successo dei suoi ben più colti e robusti colleghi napoletani, scelse di codificare un genere pressoché nuovo: la Romanza da Salotto.
Sul finire del XIX secolo il progresso organologico costruttivo aveva condotto al diffondersi, anche grazie ai progressi dell’industria metallurgica, del pianoforte verticale, detto anche “a muro” con una locuzione che rimanda ad una sorta di condanna capitale, ad una fucilazione musicale, che, sotto le inesperte mani di giovinette piccolo borghesi, veniva eseguita.
I salotti non erano più le ampie sale dell’aristocrazia dei secoli precedenti, ma locali ben meno estesi e decisamente meno ricchi, tanto per l’arredamento quanto per i frequentatori.
Tuttavia si spalancavano le porte di un nuovo mercato che è quello dell’editoria musicale di largo consumo destinata a dilettanti ed insegnanti a domicilio.
Insorge però la necessità di disporre di testi, che definire poesie è azzardato, per disporsi sulle linee melodiche che i compositori realizzavano con grande prolificità, essendo essi privi di slanci innovativi e partoriti da esperti maestri accompagnatori, eccellenti conoscitori delle possibilità vocali di cantanti di pregio e, per contro, delle limitate risorse di ugole dilettanti e male addestrate.
L’opzione per un musicista allora, si poneva come alternativa tra un modesto lavoro di spartitista, nei teatri che andavano riducendosi di numero, ovvero autore di musica di largo consumo, che non è azzardato paragonare all’odierno pop.
Mentre in gran parte dell’Europa i musicisti guardano ai grandi poeti proiettati verso nuovi linguaggi, come ad esempio diffusamente avviene in Francia, ma anche nel mondo tedesco, in Italia, che, non dimentichiamo si avvia scelleratamente verso autarchie non solo commerciali, ma anche linguistiche e culturali, i compositori di opere vocali da camera preferiscono collaborare con letterati di livello diversissimo, che vanno dallo scapigliato Arrigo Boito (Padova, 24 febbraio 1842 – Milano, 10 giugno 1918), al decadente Gabriele D’Annunzio, al vernacolare Salvatore Di Giacomo (Napoli, 13 marzo 1860 – ivi, 5 aprile 1934), fino ad una miriade di poeti artigiani dalla non sempre fulgida ispirazione.
Lo scenario sociologico, che condiziona fortemente la poetica sviluppatasi per le romanze da camera, mostra un’arretratezza nel tratteggiare figure femminili prive di spessore e cui ogni scelta è interdetta; sovente esse sono assimilate a fiori, animali graziosi ovvero, per gli amanti rifiutati, a belve sanguinare e spietate, sempre, però, con un maschilismo ipocrita e retrogrado.
Ci asteniamo, per non intraprendere un percorso che pure sarebbe interessante e foriero di considerazioni profonde, dalla disamina dell’assenza nelle poesie italiane per musica, di riferimenti a relazioni omosessuali, che invece vengono rappresentate nella poetica soprattutto transalpina.
La maschia gioventù italica preferisce le case chiuse alle forme musicali e poetiche più evolute; almeno è quello che la cultura fascista pretende venga raccontato.
Le destinatarie, poiché di donne si trattava, delle romanze da salotto dovevano essere identificabili in ragazze di buona famiglia, cattoliche, di sani principi, obbedienti ai voleri paterni e, dunque, predisposte alla subalternità al futuro marito.
La Norina del donizettiano Don Pasquale e persino la pergolesiana Serpina, appaiono tanto distanti quanto più emancipate!
Nel ‘700 l’aristocrazia riteneva il proprio ruolo dominante proveniente da investitura divina, la borghesia di fine ‘800, viceversa, era memore di avere conquistato il potere attraverso le rivoluzioni. Nel contempo, era ben evidente che l’agiatezza di cui si faceva vanto, fosse frutto del funzionamento di macchine di produzione che sfruttavano il vapore, ma soprattutto del lavoro di migliaia di operai, i quali disponevano di un potere che intimoriva i nuovi ricchi dell’imprenditoria industriale.
L’Inghilterra di fine XIX secolo, in ascesa imperialistica, vedeva emergere una nuova figura sociale che era divenuta centrale nel processo produttivo: quel lavoratore intellettuale, il cosiddetto impiegato di concetto, che rappresentava quella che sarà solo decenni dopo definita “piccola borghesia”.
Si andava così creando un nuovo fruitore di musica di consumo, quello che raramente poteva permettersi di assistere a spettacoli nelle Opera House, ma che disponeva di sufficienti mezzi per acquistare un pianoforte verticale, prodotti dall’industria inglese a relativamente basso costo, e per intrattenere ospiti socialmente pari nelle buie serate londinesi, o più ancora di Leeds, Liverpool, Cardiff, Manchester.

Mariapaola Meo

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