Sergio Mari esordiva sedicenne nelle file della Cavese, come calciatore professionista dal 1979 al 1993 militava in società di serie B e C nel ruolo di centrocampista, mentre dalla sua aveva rapidità e visione di gioco, tecnica e tiro affinati negli anni.
Era un ragazzino smilzo e determinato, di quelli che il pomeriggio calciava nei campetti del quartiere, con una voglia di vincere non soltanto al pallone, ma nella vita.
Il famoso allenatore Corrado Viciani dovette scovarlo un pomeriggio in ritiro, a leggere di politica sgranocchiando pavesini, per capire che con lui si poteva parlare anche d’altro, tanta la curiosità e un mondo tutto da scoprire. E molti anni dopo, le scarpe appese al chiodo e mille altre esperienze, l’ex calciatore scriverà Quando la palla usciva fuori (2007) e L’odore del borotalco (2015) giocando da mediano ancora una volta, un mediano completo che assolve tutti i ruoli tattici, siano essi difensivi od offensivi. Nel centrocampo della vita, infatti, si reinventa nel mondo delle arti, come gallerista, attore e burattinaio, oggi scrive “tra pizziche e tamorre“.
E’ andato in rete con i primi due romanzi, ma non si è non si è trattato di acrobazie letterarie di corto respiro, nel 2016 ci riprova con Racconti delle edizioni Gutenberg. Un vero e proprio amarcord letterario, venti frammenti di vita ricomposti in altrettanti piccoli racconti, un ensemble di ricordi narrati con sensibilità e intelligenza, vita e avventura calcistica che s’intrecciano fino agli anni ’90, dove non è raro ritrovare una saggezza del vivere che non è mai retorica. La narrazione in prima persona si offre al lettore con semplicità, dall’adolescenza alla piena giovinezza, in principio erano i Genesis, i Pink Floyd e la rivoluzione musicale anni ’70, insieme ai campetti di calcio e i pavesini di Teo. Quando la ‘tela è ancora tutta bianca‘ si sogna di poterla colorare con splendidi colori, il sedicenne calciatore ce la mette tutta, rischiando anche di andare alla Sampdoria, ma il mister Corrado Viciani crede in lui. A tre anni dall’esordio la Cavese era infatti in serie B e la Gazzetta dello sport finalmente scriveva di lui. Teo con i suoi inseparabili pavesini, pronti in ogni occasione, era sempre presente, glieli offriva per placare la tristezza, per dimostrargli affetto o quando la paura di non essere all’altezza stringeva allo stomaco. Nei suoi racconti Sergio Mari usa toni minimalisti, come flash della memoria scorrono momenti di vita, incontri, passioni e sentimenti provati, mentre il calcio e Teo sempre presenti saranno capaci di avvincere non solo il tifoso ma anche il lettore in cerca di emozioni. La scrittura si fa poi più coinvolgente dove cresce il carattere intimo della narrazione, quando si parla di relazioni umane, si ricordano gli allenatori, l’udinese Massimo Giacomini, ad esempio, capace di eccezionali rimonte dalle serie cadette fino a storiche promozioni in A. In lui l’amore per il pallone conviveva con quello per la poesia e la pittura. “Quando la gente mi urlava “Vattene!” era lì che andavo a rifugiarmi” raccontava il mister al ragazzo che molti anni dopo scoprirà lo stesso ‘rifugio’, quando un perone spaccato segnerà l’inizio della fine. I racconti, in un’ ideale seconda parte del libro, diventano più amari in quegli anni ’90, l’Italia cambia e il calcio muta pelle, cambierà anche Sergio Mari che cercherà altri linguaggi espressivi, guidato sempre dal cuore e la passione che sono le bussole più sincere. Insieme al calcio e a Teo che aveva il rimedio per tutti i mali, “uno che sa di musica e di pavesini” (ed ha un motivo serio per non staccarsi mai da quei biscotti) lo scrittore, in fondo, dedica ritratti emozionante e sincero. Ma anche don Nicò, don Peppe detto ‘Brufen’, i sogni di Francisco e i pieni di babà con Luciano, sono perle nate dall’amicizia, condivisioni e speranze che la scrittura ha avuto il potere di riannodare, in pagine dove convivono leggerezza di scrittura e profondità di sentimenti. Racconti è dunque, a pieno titolo, scrittura di formazione, preziosa perché restituisce un mondo lontano, semplice e schietto, dove non si parla di calcio-mercato, violenza negli stadi, business calcistico, ingaggi milionari e calcio-scommessa, cioè di quei fattori che snatureranno lo sport che per molti è il più bello del mondo.
Vale la pena di immergersi in questo calcio diverso, nell’atmosfera sensibile e un po’ nostalgica che sarà gradita a quanti quegli anni li hanno vissuti, mentre per quelli che non c’erano, sarà il piacere di sentirli addosso, attraverso una memoria fresca e viva, garbata e sincera. Racconto dopo racconto, pavesino dopo pavesino, il lettore non si accorgerà di avere finito un intero pacchetto, scorrono intanto come titoli di coda le immagini di un Carosello del ’63 (per chi non c’era ci sono le teche RAI o You Tube) dove il testimonial Topo Gigio concludeva lo spot cantando “Ho comprato i Pavesini e son contento, ho comprato i Pavesini e me ne vanto, me ne mangio un pacchettin di quei buoni biscottin e mi tengo su, su, su, con i Pavesin”. E confesso, a me questi pavesini sono davvero piaciuti.
Marisa Paladino