Teatro Comunale di Bologna venerdì 28 aprile 2017: la sala è gremita, il sold-out annunciato e realizzato, l’attesa è palpabile, gli strumentisti accordano, siamo pronti. Sul podio a dirigere la formazione artistica di indiscusso livello, alle prese con un programma di tutto rispetto e bel calibrato, è il suo Direttore musicale, Michele Mariotti, al quale è stato assegnato di recente il trentaseiesimo Premio Abbiati della Critica Musicale Italiana come Miglior direttore d’orchestra del 2016. La scelta dei brani offre l’opportunità di ascoltare pagine non proprio popolarissime ma di grande bellezza come per esempio la breve Passacaglia op. 1 di Anton Webern, uno dei pochi musicisti nella storia ad essere sottovalutato in vita per poi essere riconosciuto nella sua statura solo dopo la morte. Composta e presentata per la prima volta dall’autore a Vienna il 4 novembre 1908, pubblicata nel 1922, la Passacaglia op. 1, momento di sintesi conclusiva delle esperienze giovanili (Webern ha ventuno anni), congedo dal mondo del tardo romanticismo, nel catalogo weberniano rappresenta un lavoro autonomo rispetto ai modelli schönberghiani e della tradizione ottocentesca e difatti viene proposta una libera interpretazione della forma barocca.
La scelta non casuale è un omaggio a Brahms (che con una passacaglia aveva concluso la sua Quarta Sinfonia), e vede ventitré variazioni su di un basso presentato all’inizio dal pizzicato degli archi all’unisono e costituito da due incisi di cui il secondo è l’inversione retrograda dal primo, strutturate sul principio schönberghiano della variazione continua degli incisi, del ritmo, del timbro e della dinamica. L’atmosfera tonale ruota intorno al Re (minore nell’esposizione del tema, maggiore nella parte centrale, nuovamente minore nella sezione conclusiva con carattere di ripresa).
Nella densa scrittura contrappuntistica, che gioca sull’elaborazione tematica, non mancano momenti di lirismo, ed inoltre, Webern abbandona il ritmo ternario di danza ch’è proprio della passacaglia in favore di un metro binario.
Qui troviamo anche le tendenze successive di Webern quali le dinamiche sospinte e l’impiego timbrico per sortire effetti inquietanti. Il direttore dal gesto deciso, energico ne ha colto la temperie spirituale con l’orchestra “cantante” nei momenti di distensione lirica e molto efficace nella resa sonora degli impasti strumentali e negli slanci agogici e ritmici. Dopo questa brillante apertura, anche per Franz Schubert, il liederista per eccellenza, che ha avuto un ruolo fondamentale nella carriera del maestro Mariotti, la scelta ricade su di una composizione giovanile, la Sinfonia n. 5 in Si bemolle maggiore, D. 485, composta nel 1816, chiaro omaggio al divino ed immortale Mozart che volge lo sguardo ad un modello preciso: la Sinfonia in sol minore K. 550.
Non mancano le somiglianze compositive ed espliciti riferimenti tematici (nel terzo movimento compare una citazione letterale dal “Minuetto” mozartiano), ed anche la veste strumentale ne ricalca l’organico senza trombe, timpani e clarinetti. Una profonda differenza è data dalla scelta armonico-tonale schubertiana: dalla tonalità sol minore alla relativa maggiore, Si bemolle. Il primo movimento, Allegro, elegante, equilibrato ha due temi, uno delicato e cantabile, l’altro più elaborato dal carattere diverso, in un continuo scambio dei ruoli tra gli strumenti e l’alternanza archi-legni ha un colore leggero e vivace. Il secondo movimento, Andante con moto, adotta altre analogie con la celebre sinfonia di riferimento: stessa tonalità, Mi bemolle maggiore, uguale metro, 6/8; certamente di stampo mozartiano è il grazioso e delicato tema principale, nella parte centrale reso ancor più enfatico da interessanti passaggi e modulazioni. Nel Minuetto – Allegro molto – Trio, è palese il riferimento al modello; se ne discosta il Trio, a carattere di Ländler, con il fagotto che canta la melodia assieme ai violini. L’Allegro vivace conclusivo, pagina scorrevole, priva di drammaticità si snoda attraverso modulazioni ed effetti timbrici. Brioso, irruente il primo tema opposto al secondo, più tranquillo, evocante le morbide e delicate melodie mozartiane. Grazie alla sensibilità musicale ed alla perfetta conoscenza della partitura il Maestro valorizza la trasparenza della scrittura schubertiana, spazia tra sereni equilibri dinamici, tra la proporzione dei tempi, ben curandosi dei fraseggi e dei piani sonori, rispettandone l’ispirazione originaria con tempi misurati, alla ricerca di suoni cameristici, curando l’orchestrazione ne restituisce la semplicità e l’eleganza così affini a Mozart. Però, lo confessiamo pubblicamente, per la Sinfonia n. 3 in la minore op. 56 di Felix Mendelssohn-Bartholdy (che adoriamo incondizionatamente) noi siamo andati in visibilio insieme al resto della platea. Ispirata da un viaggio in Scozia nel 1829, la terza sinfonia di Mendelssohn ha una lunga gestazione; abbozzata al ritorno del viaggio, soltanto dopo tredici anni giunge alla stesura finale, con esecuzione a Lipsia il 3 marzo 1842 e rimane, insieme alla sinfonia “Italiana”, uno dei lavori suoi più pittoreschi e comunicativi. La sinfonia si articola in quattro movimenti: Andante con moto, Allegro un poco agitato. L’introduzione, dai toni pacati, ha un aspetto elegiaco il malinconico tema principale, cresce di intensità e moto intrecciandosi con un altro motivo, grave e solenne. L’atmosfera è cangiante, sottolineata dai passaggi degli oboi, dei clarinetti, dei corni e delle viole. Nel Vivace non troppo un tema popolaresco, dal piglio baldanzoso intonato dal primo clarinetto su scala pentatonica, è alla base di questo movimento che termina con i violini in pianissimo, l’Adagio è raccolto, quasi doloroso ed inizia quasi in sordina con punte drammatiche negli episodi centrali. Una dolce melodia cantabile trova netta contrapposizione in una seconda idea tematica, dal cupo ritmo di marcia funebre; la ripresa si arricchisce di voci secondarie, il tema viene trattato dagli strumenti più gravi e dai fiati. Nell’Allegro vivacissimo, Allegro maestoso assai prorompe l’atmosfera gioiosa ed energica, con ritmo costante vivificato da accenti improvvisi di grande forza drammatica. I fiati enunciano un secondo tema cantabile; lo sviluppo si presenta contrastato e con accenti fugati, poi sfocia nella conclusione, celebrativa, nobile, di grande effetto. Con un suono orchestrale pieno e drammatico all’occorrenza, che varia a secondo delle diverse atmosfere espressive, con stacchi dei tempi appropriati ed una tavolozza timbrica suggestiva e potente, in sintonia con l’orchestra con cui ha un legame particolare, Mariottti si conferma interprete prezioso, elegante, sicuro, congeniale per sensibilità e temperamento al sentir del genio di Amburgo, ed il lungo, lungo, lungo applauso finale sembra non finire mai, qui al Comunale di Bologna. A presto.
Francesco D’Agostino
Foto Lannino ©