Roberto Cominati interpreta Maurice Ravel e incanta il San Carlo

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Roberto Cominati, classe 1969,  molto probabilmente il miglior pianista italiano della sua generazione e certamente fra i più interessanti dell’attuale panorama internazionale, è ritornato a Napoli, dopo quattro anni di assenza,   sul palcoscenico del Teatro San Carlo, mercoledì 19 aprile 2017,  per regalare, ancora una volta, momenti musicali  e un’ interpretazione di livello eccelso  alla città che lo ha visto  giovanissimo intraprendere lo studio del pianoforte, partecipando già dal 1976, ottenendo i più alti riconoscimenti, ai più importanti concorsi pianistici italiani e, a otto anni, l’ammissione per meriti speciali al Conservatorio S. Pietro a Majella.
Ha studiato dal 1984 con Aldo Ciccolini all’Accademia Superiore di Musica “Lorenzo Perosi” di Biella e dal 1989 con Franco Scala all’Accademia Pianistica “Incontri col Maestro” di Imola.
Vincitore del Primo premio al Concorso Internazionale “Alfredo Casella” di Napoli nel 1991, nel 1993 si è imposto all’attenzione della critica e delle maggiori istituzioni concertistiche europee con il Primo premio al Concorso Internazionale “Ferruccio Busoni” di Bolzano, primo italiano dopo 17 anni.  E’ noto quanto quel concorso sia avaro nell’assegnare  i primi premi, quindi la vittoria di Cominati ha avuto un significato eccezionale.  Ospite delle più importanti società concertistiche italiane e di istituzioni quali il Teatro alla Scala di Milano, il Comunale di Bologna, la Fenice di Venezia, il Maggio Musicale Fiorentino, il San Carlo di Napoli, l’Accademia di Santa Cecilia di Roma, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, l’Accademia Chigiana di Siena e il Festival dei Due Mondi di Spoleto, ha suonato al Théâtre Châtelet di Parigi, al Kennedy Center di Washington, al festival di Salisburgo, a Berlino, in Inghilterra, Giappone, Australia, Belgio, Olanda, Finlandia.
Ha collaborato con molti celebri direttori d’orchestra, fra i quali sir Simon Rattle, Andrey Boreyko, Leon Fleisher, Daniel Harding, Yuri Ahronovitch, David Robertson,Gabriele Ferro, Michele Mariotti,Aleksandr Lazarev. Ma al San Carlo, questa volta, è stato il protagonista assoluto, con  un programma monografico su Ravel, con un pianismo così iridescente e così rarefatto allo stesso tempo, con una profondità del sentire ed un estro dei fraseggi, tutte caratteristiche  che ne hanno fatto uno degli attuali interpreti di eccellenza del catalogo pianistico del compositore. Complice il perfezionamento a Parigi con il maestro Aldo Ciccolini, il più grande esecutore, negli ultimi sessant’anni, del repertorio francese. “Aldo è stato determinante nella mia crescita di artista, non potrò mai dimenticare la sua cordialità, la capacità di trasferire la sua immensa conoscenza agli allievi”.
Talvolta, i programmi monografici rischiano di annoiare chi ascolta, per una possibile monotonia del linguaggio e dello stile musicale.
Ma Maurice Ravel (1875-1937) non è sicuramente tra questi. Eleganza e precisione della sua scrittura rendono ciascuna sua opera, così  varia nell’organico, nel taglio architettonico, negli svariati riferimenti  al folklore musicale, o a precedenti modelli storici, in particolare quelli del Sei-Settecento francese,  da creare un’emozionante atmosfera nella quale ogni uditore  finisce per essere letteralmente sorpreso e trascinato.
In scaletta  un programma che ha interessato i primi venti anni del Novecento e con cui Cominati si è riconfermato un grande pianista dando prova di notevolissima abilità e maestria: Prélude (1913) ;   Sonatine (1903-1905) : Modéré – Mouvement de Menuet – Animé ; Le tombeau de Couperin (1914-1917) :Prélude – Fugue – Frlane – Rigaudon – Menuet – Toccata ; Miroirs (1904-1905) : Noctuelles – Oiseaux tristes – Une barque sur l’océan – Alborada del gracioso – La vallée des cloches ; La valse (versione per pianoforte: 1920) : Mouvement de valse viénoise.
Un piccolo gioiello, Prélude, un brano che qualsiasi pianista dovrebbe eseguire almeno una volta nella vita, fu scritto da Ravel  nel maggio del 1913 su richiesta dell’allora  direttore del Conservatorio di Parigi, Gabriel Fauré, come  pezzo per la prova di lettura a prima vista del concorso annuale di pianoforte.  Il brano, dedicato ad una delle esecutrici, Jeanne Leleu, constava di ventisette battute in cui  Ravel  introdusse qualche imprevedibile e inevitabile  difficoltà di lettura.
A un decennio antecedente risale la composizione  della Sonatine, dedicata a Ida e Cyprien Godebski, amici intimi del compositore. Anch’essa una composizione molto breve, suddivisa in tre movimenti, un brano stupendo in cui la finezza della scrittura e il classicismo della forma la pongono in una posizione piuttosto lontana da quel Debussy sulle cui orme Ravel aveva iniziato la sua attività per poi discostarsene  acquisendo una coscienza formale ben distante  dalla poetica impressionista e simbolista.  Egli stesso si considerò sotto molti aspetti un neoclassico: utilizzò, infatti, tecniche e strutture compositive tipicamente tradizionali e diatoniche, con una precisione matematica tanto apprezzata, senza mai sconfinare nell’atonalità, per proporre le sue armonie nuove ed innovative.
Il concerto è proseguito  con un vero capolavoro della musica francese, Le Tombeau de Couperin, (1914-17), suite costituita da sei tempi, “in memoria  di”  altrettanti amici caduti in guerra, fra i quali il musicologo Joseph de Marliave, marito di Marguerite Long, celeberrima pianista che nel 1919 eseguì questa composizione in prima assoluta. E’ in questa composizione  che  il musicista francese ritorna alla suite barocca: il pezzo è costruito attorno a tre antiche forme di danza,  Forlane, Menuet, Rigaudon, introdotte da un Preludio e Fuga e concluse da una brillante Toccata. Un omaggio, puramente di ammirazione,  al genio del barocco francese Couperin, in cui si avverte l’eco degli anni della  guerra, dal 1914 al 1917, del  dolore scaturito dal primo conflitto mondiale,  della sofferenza interiore per l’angoscia delle battaglie, della morte della madre nel 1917, della scomparsa degli amici nelle trincee della Grande Guerra. E, nonostante tutto, questa musica è comunque risultata  essere  “celebrazione di forme pure, perfette, consolanti giunte a noi nel disordine dell’esistenza da un’età artistica ammirata”:  una  musica ricca di segreti, come il meraviglioso Menuet, che diventa serio e inquieto nel trio al suo centro, e limpida e, talvolta,  allegra e ironica nell’ostentata vivacità popolaresca.  All’indomani del suo recital al Festival di Salisburgo, così scriveva la “Salzburger Nachrichten”: «… Affascinante la mistura di calore e di fine tecnica nel Tombeau de Couperin di Ravel, memorabile la sua passionale freddezza nell’ondeggiante e poco profonda trascrizione della Valse…» Riguardo all’interpretazione, Roberto Cominati ha evidenziato un  grande virtuosismo, un’estrema raffinatezza e una continua ricerca di sfumature che hanno impreziosito i diversi brani, come anche la suite in cinque movimenti “Miroirs”, che Ravel scrisse fra il 1904 ed il 1905, con dedica ad altrettanti componenti dei cosiddetti “Apaches”, gruppo di avanguardia artistica formatosi nel 1900 a Parigi, al quale apparteneva anche l’autore francese.

 Ma anche il resto del concerto è stato un successo e gli applausi al termine di ogni esecuzione ne sono stati una testimonianza: energico dove necessario, preciso nell’utilizzo delle mani che non hanno lasciato spazio a “sbavature”,  Cominati ha sottolineato con grande chiarezza la netta e costante idea melodica, sempre presente nella scrittura raveliana rispetto a quella decisamente più aleatoria di Debussy.  Splendida l’ esecuzione de La valse,  poema coreografico pensato inizialmente come balletto; a dir poco  stupefacente il  grave e suggestivo iniziale  tappeto sonoro, e l’aspetto virtuosistico di una pagina che  “vive” di suggestioni strumentali, di provocazioni ritmiche, un  capolavoro di gioiosa musicalità,  quasi  irresistibile per la capacità di trascinare nel vortice d’un idealizzato ballo di corte viennese, con tempo di valzer facilmente riconoscibile, ma alimentato  costantemente da tensioni armoniche nuove con ondate di sonorità quasi inebrianti, a ricordare  un mondo sfavillante, quello della  gloriosa Austria imperiale, e una gioia di vivere in luogo del grigio e della sofferenza del suo presente.
Scriveva Mauro Mariani, docente di Storia ed Estetica musicale presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma: «Il sussurrare misterioso dell’inizio, col suo fremito sordo che pulsa sotterraneo ma chiaramente avvertibile, indica che sta per venire alla luce qualcosa di luminoso: ma allo stesso tempo c’è un senso d’inquietudine, serpeggia l’ombra del dubbio. Ecco che, dopo parecchi tentativi d’emergere dalla bruma, il tema appare: è leggero, frivolo e frizzante e porta con sé un senso di felicità. Con movenze feline e voluttà cromatiche questo tema sale, scoppia e trionfa, poi cade, si dissolve, riappare ancora più esasperato, sale di nuovo in un frenetico crescendo fino al più parossistico fortissimo. Allora lo scatenamento orgiastico del ritmo e il bagno voluttuoso di suoni s’impossessano irresistibilmente dell’ascoltatore». Come sempre, Cominati ha profuso doti impeccabili di tecnica e di tocco incantevole, fraseggio, profondità interpretativa, soprattutto nei due  delicatissimi ed emozionanti   bis di autori inaspettati  quasi al termine di un programma monografico su Ravel, Le Tic Toc Choc di Francois Couperin e Lascia ch’io pianga di Handel – Moszkowsky,  quasi a voler confermare  il costante e significativo riferimento dello stesso  Ravel al periodo barocco.

Katia Cherubini

Foto di Emanuele Ferrigno ©

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