Elektra di Richard Strauss – Scheda

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Elektra
musica di Richard Strauss (1864-1949)
libretto di Hugo von Hofmannsthal, da Sofocle
Tragedia in un atto
Prima rappresentazione Dresda, Königliches Opernhaus, 25 gennaio 1909

Dopo il successo di Salome, Richard Strauss si imbatté in un libretto di Hugo von Hofmannsthal, dalla tragedia di Sofocle “Elettra”, che con il soggetto dell’opera precedente presentava non poche affinità, se non nella trama, nelle ambientazioni psicologiche.
Il drammaturgo, però, ben presto convinse Strauss che a lavoro ultimato le affinità sarebbero state davvero minime; di certo più rilevante era la contiguità con quell’ Idomeneo che Strauss riprese da Mozart tra i personaggi del quale avrebbe dovuto figurare la stessa Elettra se lo stesso compositore del secolo scorso non avesse provveduto a sostituirla con la sacerdotessa Ismene.
Richard Strauss (potenza della doppia consonante finale nel cognome di chi sarebbe diventato “Presidente della Camera musicale del Reich”), sostituisce Elettra portatrice del suo tragico fardello familiare, con Ismene, una sacerdotessa invasata che ammonisce Idamante a “non contaminare la purezza del sangue cretese” sposando Ilia.
Ogni commento sul politically incorrect è superfluo.
Che la sacerdotessa sia tratteggiata come una paranoica e che, in prossimità della sconfitta ella si tolga la vita può essere letto come una premonizione straussiana di altri “suicidi eccellenti” al cospetto della rovina dei propri progetti farneticanti.
La collaborazione tra il musicista e il drammaturgo sarebbe proseguita proficuamente per oltre venti anni.
Il fascino su Strauss probabilmente veniva esercitato dai colori lividi della tragedia della figlia di Agamennone, leggenda di cui le cui prime tracce si ravvisano nell’ Oresteia di Stesicoro, poeta catanese del VI secolo a.C., che nell’antichità fu a lungo ritenuto un Omero della Magna Grecia.
Sarà un secolo più tardi che la tragica vicenda avrà ampio spazio nell’ Orestea di Eschilo, che è una trilogia, e nell’ Elettra di Sofocle e nell’omonima opera di Euripide.
Giova osservare che in Omero il matricidio di Oreste non compare; il sommo aedo riferisce, viceversa, del sacrificio di Ifigenia, sorella di Elettra e figlia quindi di Agamennone, immolata in nome della patria allo scopo di ingraziarsi gli dei affinché sostengano l’Atride nella sua impresa bellica contro Troia.
Nella trama narrata da Eschilo, invece, viene dato ampio risalto tanto all’antefatto dell’olocausto di Ifigenia e dell’adulterio di Clitemnestra (nell’ Agamennone) quanto alla vendetta di Oreste istigato e coadiuvato da Elettra (in Coefore); nella terza tragedia, in fine, si dà conto del giudizio a cui Oreste viene sottoposto per il crimine di matricidio (in Eumenidi).
La prima tragedia, concludendosi con l’assassinio di Agamennone, presenta questo atto violento come vendetta per l’uccisione della figlia Ifigenia; il movente quasi si nobilita ammantandosi di amore materno piuttosto che di lussuria adultera. In Coefore o Le portatrici di libagioni, Oreste compie la vendetta che Apollo gli impone minaccioso e ad Elettra compete il ruolo di colei che deve conferire piena dignità di erede al trono al fratello, benché macchiato di un crimine verso un consanguineo.
In Omero il mito assumeva connotazioni trascendenti che lo ponevano al di sopra del giudizio umano; a metà del V secolo a.C., nella Atene di Eschilo, invece, si andava affermando una democrazia della parola che non ammetteva zone franche dal giudizio nè morale nè penale. Il sacrificio di Agamennone non è rappresentato, perciò, come mero dramma psicologico, ma, così come le vendette a catena di Clitemnestra e di Oreste, divengono argomento di dissertazione morale e giuridica coinvolgendo persino la “dignità successoria” del reo di parricidio.
In quel tempo si fronteggiavano in Atene due fazioni, la prima sostenente la insindicabilità del giudizio del Tribunale e l’assoggettamento ad esso di ogni uomo indipendentemente dal rango, la seconda, viceversa, favorevole ad una immunità impunità delle oligarchie, in considerazione di “ragioni di stato” di ordine superiore.
Ecco che il giudizio a cui Oreste deve essere sottoposto, benché di stirpe reale e nonostante egli abbia agito su indicazione di una divinità, è assunto a manifesto di democrazia del diritto e l’autore non poteva non ravvisare la forte pregnanza politica della sua opera.
Eschilo ed Euripide fanno terminare le loro tragedie con il matricidio, consegnando il crimine alla riflessione e al giudizio dello spettatore, Sofocle, invece, portando in scena l’uccisione di Egisto, sposta l’attenzione da un reato che, avendo come vittima un consanguineo sarebbe assoggettata al giudizio degli dei e perseguitato dalle Erinni: un espediente “sandwich” per eludere o almeno, posporre le considerazioni etiche più tormentate.
Contrariamente a quanto dispose Hugo von Hofmannsthal nella tragedia teatrale, nell’ opera musicata da Strauss l’invocazione ad Agamennone giunge quasi ad apertura di sipario, musicata dal leitmotiv che poi ritornerà nei momenti della vendetta finale di Oreste.
Nella sua prima aria, Elektra invoca il nome del padre sul quel frammento motivico che tanta affinità rivela con l’incipit del “Confutatis” mozartiano.
La musica di Strauss non riesce a fare a meno di adottare soluzioni leitmotiviche wagneriane, ma rispetto al suo grande predecessore, egli non si preoccupa di mantenere il flusso tematico ininterrotto e armonicamente, piuttosto che muoversi in direzione della dissoluzione per ampliamento del sistema tonale, procede per sovrapposizione di tonalità diverse in simultanea, con l’effetto di produrre una tensione che ricerca tre diversi appagamenti: la concordanza tra i due assetti tonali tra loro; la risoluzione cadenzale del primo e quella del secondo.
Nel 2011, un sospetto di “plagio” ha riacceso le polveri dei detrattori di Strauss; il caso si è aperto in seguito ad un articolo, dall’autorevole firma di Quirino Principe, dalle colonne de Il sole 24 ore del 9 gennaio 2011, dal “La vergogna è finita”. (https://www.oltrecultura.it/2011/01/19/coraggio-cassandra-al-teatro-massimo-vincenzo-bellini-catania/)
Il caso era riferito alla proposta del Teatro Bellini di Catania dell’opera “Cassandra” di Vittorio Gnecchi, (1876-1954), che avrebbe “eccessivamente influenzato” la composizione di Elektra di Strauss, il quale dalla tragedia in musica del collega italiano avrebbe tratto enorme impressione all’ascolto avvenuto a Torino nel 1905.
Era quello l’anno in cui il maestro tedesco rifiniva Salome e progettava Elektra.
Strauss disegna un affresco musicale dalle tinte fosche e fredde; Hofmannsthal guarda con attenzione al personaggio di Crisotemide, sorella della protagonista e che è latrice dei sentimenti teneri che si suppone siano appartenuti alla stessa Elettra, ma che sono stati mortificati, repressi e sopravanzati dal desiderio di vendetta; Crisotemide vuole essere donna e femmina e il duetto con Elektra ne sottolinea a tal punto la passionalità sensuale che l’affettuosa ammirazione della sorella maggiore suggerì a qualcuno di parlare di relazione incestuoso-omosessuale inconscia.
In realtà la seduzione che mette in essere Elektra, presenta un aspetto di identificazione nella sorella e una risonanza dei medesimi desideri di donna, ma soprattutto di volontà di compiacere Crisotemide per ottenerne la complicità nel piano di vendetta.
L’appagamento attraverso la sessualità e la maternità diviene per Elettra la realizzazione della vendetta, poiché la madre Clitemnestra che era in competizione psicologica per il possesso di Agamennone, ha tradito la figlia privandola dell’oggetto del desiderio profanandone, inoltre, la memoria unendosi con l’assassino del padre.
Gli anni in cui compongono Strauss e Hugo von Hofmannsthal, sono gli stessi in cui Sigmund Freud pubblica le sue teorie psicanalitiche e, benchè antichi e quasi senza tempo siano i miti di cui il clinico si serve per esemplificare e classificare i tabù dell’animo umano, assolutamente sincronico è l’interesse degli intellettuali mitteleruopei per esse.
Sono altresì gli anni in cui è al culmine quel processo di ricerca di radici germaniche, altre dal mondo latino, per cui dalla mitologia greca la letteratura mitteleuropea attingeva a piene mani, così come da quella orientale, con particolare predilezione per gli argomenti cruenti o guerreschi.

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