Il Sindaco del Rione Sanità, in scena dal 6 – 17 marzo 2017 al Nest – Napoli Est Teatro, con la direzione di Mario Martone, ripropone in tutta la sua ambiguità una dimensione di una Napoli in bilico tra verità e apparenza, in cui nulla è ciò che sembra ma tutto può essere: il camorrista, a modo suo paladino di equità e giustizia, soccombe alla stessa logica di violenza che lo pone despota e incondizionato giudice delle miserabili vite dell’umanità che lo circonda e cade per mano di un imprenditore vessato che si ribella.
L’ambiguità è dunque nell’evidenziare che la regola può cadere davanti a un fatto, che non c’è possibilità di tracciare una linea retta laddove non ci sono che percorsi tortuosi e che le leggi discendono dal sistema che le produce e quando il sistema è ingiusto lo sono anche le leggi. Insomma dietro al velo della benevolenza o della virtù si nasconde il male, ovvero la negazione della pietà, l’incapacità di misurarsi con la complessità, che alla fine condanna tutti i protagonisti della storia.
Nessuno è innocente perché nessuno esprime condanne di un sistema strutturato intorno alla violenza e alla intimidazione: il gesto di clemenza generosa del finale rifugge i trionfalismi, vuoi perché giunge all’epilogo di una vita di intimidazioni, vuoi perché si origina da un moto di tutela dell’onore che contiene l’omissione di denuncia e si sviluppa lungo una serie di minacce e finisce dunque ad inquinare, con una estrema estorsione, anche un atto di generosità verso il futuro, rappresentato dalla giovane coppia in attesa di una nascita.
Il primo Eduardo diretto da Mario Martone fa i conti con la personalità del regista e la sua volontà di superare il teatro borghese; ma l’insidia dell’operazione non risiede tanto nel rileggere un capolavoro stratificato e mitizzato del teatro del ‘900, quanto nell’aggirarsi tra apologie del “guappismo” e pietismo, tra una difesa di un onore che altro non è che culto dell’omertà , del silenzio, della non parola, di un codice di comportamento che lascia ben poche possibilità alla vita di chi vi si adegua. E’ un codice d’onore che si fonda su una scissione: da un lato la “famiglia”, la dimensione naturale del Noi (noi siamo una sola famiglia), dall’altro il sociale, l’esterno, il non Noi, lo Stato, ciò con cui è impossibile identificarsi. L’uomo d’onore esiste come alienazione di se stesso all’interno di una organizzazione e può assurgere a “eroe” quando porta al massimo livello espressivo ed esistenziale categorie di comportamento culturalmente condivise. E questo avviene solo a scapito delle istituzioni, cui il giudizio e la sentenza vengono sottratti, in una paternalistica generosità che poco ha da spartire con l’eroismo.
Spettatrice, nella finzione drammaturgica come nella realtà, è una non meno colpevole classe media, pubblico pronto ad autoassolversi e a fuggire, dopo aver lungamente consumato la condivisione di colpe dei cosiddetti “colletti bianchi”.
Dora Iannuzzi