È stata di gran lunga una delle serate concertistiche più emozionanti, quella di mercoledì 1 marzo 2017, al Teatrino di Corte di Palazzo Reale di Napoli, per la stagione dell’Associazione Scarlatti: protagonisti di lustro il violinista Domenico Nordio e il pianista Filippo Gamba che, con la loro travolgente interpretazione, hanno coinvolto il pubblico in un vortice sonoro ora profondo, ora impalpabile, dimostrando un notevole affiatamento e offrendo un’esperienza di ascolto incisiva dal primo respiro fino all’ultimo.
Il programma proposto è stato ad alta gradazione romantica e dalle mille nuance del primo ‘900 francese, con la Sonata in la maggiore op. 13 di Gabriel Faurè e la Sonata di Debussy, e dell’ultimo ‘800 con la “Seconda Grande Sonata” di Schumann, a cui gli artisti, entrambi di solida formazione e ricca sensibilità interpretativa, hanno prestato la loro abilità virtuosistica travolgente e mai superficiale. Due straordinari solisti che vantano prestigiosi riconoscimenti nazionali ed internazionali, e una luminosa carriera artistica. Si sono esibiti nelle sale più prestigiose del mondo e con le maggiori orchestre, riscuotendo clamorosi consensi, non di meno in questa occasione, in cui l’interpretazione ha travolto il pubblico in applausi entusiastici, giusta conseguenza di quella “concertazione interna” del pianoforte da una parte, tendente a far risaltare la complessità armonica in relazione alla linea melodica “ciclica” tipica dei compositori francesi dell’epoca, e dall’altra quella veemenza esecutiva del violino che in più di qualche momento ha cercato di allontanarsi da quel substrato orchestrale che il pianoforte riassume in sé e, pur senza pretenderlo, impone.
Ciò che si è ascoltato è stata l’audacia di suoni che sono mutati timbricamente, passando dalla rarefazione assoluta, impressionistica, di note tirate sul pianissimo come galleggiassero per aria, spinte al limite delle loro possibilità espressive. Sicuramente non è frequente trovare un solista di calibro capace di accompagnare un altro solista allo stesso modo, reggendo il cambio di registro che l’accompagnamento e il repertorio cameristico ha per condizione imprescindibile. Dall’ultimo trentennio dell’Ottocento al primo ventennio del Novecento la Francia e la cultura francese hanno avuto un picco di eccellenza artistica: movimenti filosofici e letterari, stili pittorici e musicali rendevano estremamente vivo il panorama culturale non solo francese ma anche europeo.
E sicuramente la musica svolse un ruolo centrale e decisivo rispetto alle manifestazioni letterarie e figurative del decadentismo francese. Gabriel Fauré e Claude Debussy sono esponenti di spicco della musica francese d’epoca, pur avendo una potenza artistica e creativa molto differente. «Musica amabile, graziosa, deliziosa come un paesaggio all’acquerello, un ritratto in miniatura, una porcellana di Sèvres, tutti oggetti da salotto ma che possono essere preziosi». Questa definizione senz’altro riduttiva ma non del tutto fuorviante della musica di Gabriel Fauré si legge sulla “Rivista Musicale Italiana” del 1914, quando il compositore era ancora vivo.
Composta tra il 1875 e il 1876, dedicata alla famosa cantante Pauline Viardot, la Sonata per violino e pianoforte in la maggiore è uno dei capolavori giovanili di Gabriel Fauré. La sua prima esecuzione ha avuto luogo a Parigi il 27 gennaio 1877, con Fauré al pianoforte e Marie Tayau al violino. “La sonata è riuscita oltre i miei sogni più selvaggi!” il compositore ha scritto euforicamente ad un amico dopo il concerto. “Saint-Saëns mi ha detto che questa sera ha sperimentato la tristezza che le madri devono sentire quando si rendono conto che i loro figli sono diventati abbastanza grandi per andare avanti senza di loro”. La composizione riscuote immediatamente grande successo per “la novità delle forme, la ricerca delle modulazioni, delle sonorità originali, l’impiego dei ritmi meno consueti…”, come scrive sul Journal de la Musique del 7 aprile 1877 Camille Saint-Saëns, lasciando trasparire la propria soddisfazione di insegnante nei confronti del suo allievo.
La Sonata si articola nei quattro classici movimenti; sia il pianoforte che il violino sono sempre protagonisti, mai sono trattati come solista e accompagnamento: ad entrambi gli strumenti vengono affidate melodie che si sovrappongono in un gioco polifonico dagli effetti deliziosi.
La Sonata per violino e pianoforte di Claude Debussy fu composta tra l’estate del 1915 e l’inverno del 1917. Presentata in pubblico circa un anno prima dalla scomparsa del Maestro, è indissolubilmente legata a due avvenimenti: la prima guerra mondiale e la malattia per la quale morì pochi mesi dopo. La Sonata per violino e pianoforte non ha nulla o quasi della poetica impressionista e vi si avverte un maggiore rilievo nel disegno melodico e un più marcato senso chiaroscurale, rispetto alle atmosfere sfumate e pittoricamente evocative della produzione tipicamente debussyana. Un complesso indefinito di eleganza, di fantasticheria, di preziosismo sonoro.
La seconda parte del concerto ha visto protagonista la Sonata n. 2 di Schumann, nella quale si riconoscono gli aspetti più tipici dello stile del compositore: i toni appassionati e fantastici, il desiderio di un canto intimo e profondo, la ricerca di sempre nuove soluzioni formali. La composizione nasce principalmente, come lo stesso Schumann confida all’amico Wasielewski, dalla sua profonda insoddisfazione per la Prima Sonata (in la minore opera 105), scritta appena un mese prima.
L’attributo “Grande”, che Schumann appone sul frontespizio della partitura, è indicativo infatti sia del maggiore impegno esecutivo derivante dalla complessità della scrittura musicale, sia delle maggiori dimensioni formali, quattro movimenti, rispetto alla precedente. Il 15 novembre 1851 la sonata viene eseguita in forma privata da Wasielewski al violino e da Clara Schumann al pianoforte; ancora non soddisfatto, Robert Schumann rimaneggia ampiamente la partitura che verrà eseguita in pubblico il 29 ottobre 1853 da Joseph Joachim e sua moglie Clara. L’architettura della sonata risulta piuttosto solida per il ripresentarsi del tema del primo tempo nel terzo che salda idealmente la fine con l’inizio. In ogni movimento il dialogo tra violino e pianoforte si intreccia serrato, talvolta contrappuntistico, come nel terzo tempo, segno di quanto Schumann avesse assimilato il contrappunto di Bach.
Ma la grande intesa tra i due concertisti ha colpito al di là dei singoli brani, caratterizzati da un’ empatica armonia di intenti che ha coinvolto il pubblico, premiato per il suo entusiasmo dagli artisti che hanno concesso come bis la Romanza di Schumann. Un concerto che non si dimenticherà facilmente.
Katia Cherubini