Per tutto il mese di settembre 2016 il Museo Nazionale di Napoli ogni giovedì sarà aperto fino alle 23 con visite guidate e in concomitanza di concerti e altre manifestazioni culturali all’interno dello stesso.
L’iniziativa è volta a promuovere l’Arte nel senso più profondo del termine, spiega la dottoressa Ornella Falco che ogni giovedì sera presenzia agli eventi in rappresentanza del Museo, e dunque la cornice delle sculture greco-romane, degli affreschi della collezione Farnese ed i giardini storici, diventano palcoscenico ospitando esibizioni musicali di ogni genere, dalla classica alla contemporanea.
L’intera iniziativa è stata possibile grazie alla disponibilità dei custodi del Museo i quali partecipano come volontari all’apertura notturna.
Giovedì 8 settembre 2016, tra le sculture greco romane della Campania si sono esibiti il contralto Daniela del Monaco e il chitarrista Antonio Grande in un recital dedicato alla musica napoletana dalle origini ai primi del ‘900.
I due artisti napoletani si esibiscono insieme dal 1996 e da qualche anno, dopo il successo del loro CD Napoli inCanto (Opus 111), hanno deciso di “riabilitare il ruolo” della canzone napoletana troppo spesso relegata in un angolo.
L’essenza di Napoli, da sempre piena di contraddizioni, amata e condannata al tempo stesso, si rispecchia nella sua stessa morfologia “Il golfo ti accoglie, il vulcano ti minaccia” (Antonio Grande).
Al canto è toccata la stessa sorte essendo legato alla città fin dalla sua fondazione. La leggenda, narrata da Omero nel XII canto dell’Odissea, vuole infatti che Napoli prenda il nome dalla sirena Partenope, uccisasi per la disperazione di non essere riuscita ad “inCantare” Ulisse.
I due artisti oltre a deliziare il pubblico con le melodie eseguite hanno raccontato e presentato il loro progetto, non essendo stato possibile distribuire programmi di sala. Il contralto Daniela del Monaco dedicando il brano “Duje Paravise”, eseguito da Antonio Grande, a due artisti colonne della musica napoletana da poco scomparsi, Gino Evangelista e Luciano Catapano, e fondamentali per il suo avvicinamento a questo tipo di repertorio, ha spiegato come la canzone napoletana le abbia permesso di sviluppare«“la coscienza dell’essere napoletana non solo per nascita, ma per scelta e per amore».
Si può dunque sentirsi napoletani anche senza esserlo per nascita forse anche per questo la scelta degli artisti di inserire nel programma “Me voglio fa’ ‘na casa” di Gaetano Donizetti e “ ‘A vucchella”, eseguita come bis, scommessa poetica vernacolare di Gabriele D’Annunzio, vinta grazie alla musica di Francesco Paolo Tosti.
Donizetti infatti nasce a Bergamo nel 1797 ma si trasferisci a Napoli dal 1822 dove decide di abbracciare, accanto a titoli immortali come Lucia di Lammermoor, il genere buffo napoletano.
Diversa invece la storia legata a “’A vucchella” (1907), i due autori, entrambi abruzzesi, la scrissero in seguito ad una sfida fatta da Ferdinando Russo il quale sosteneva che solo i napoletani potessero comporre musica napoletana.
Il successo del brano, eseguito anche da Caruso e Murolo, smentisce, pur denunciando il pieno stile decadente dell’epoca, la tesi sostenuta dal Russo.
Anche l’illustre primo direttore del Conservatorio di Napoli, Giovanni Paisiello, di cui quest’anno ricorre il bicentenario dalla morte, fa parte dei napoletani di adozione anche se la sua vita è stata certamente molto più legata alla città partenopea rispetto a Donizetti e D’Annunzio.
Di Paisiello abbiamo ascoltato “Amici non credete alle zitelle” e “Nel cor più non mi sento” , aria, quest’ultima tratta da la commedia per musica in tre “L’amore cortese” meglio nota come “La Molinara”.
I due esecutori, con umiltà e maestria, alla maniera di Beethoven e di Paganini, si sono cimentati variando la celebre aria da “La molinara” a mo’ di sfida tra voce e chitarra.
Quest’aria del compositore tarantino ha permesso ai due artisti di mostrare tutta la loro bravura e la loro preparazione: il maestro Grande ha sfruttato la sua chitarra sia come basso continuo che come solista, sfruttando tutte le caratteristiche e le potenzialità dello strumento.
Il maestro del Monaco ha invece impostato le sue variazioni oltre che sulle fioriture , tipiche dell’epoca, su una mimica degna di un attrice professionista finendo addirittura a dialogare con la statua del Doriforo (replica della fine del I secolo a.C. da originale greco realizzato intorno alla metà del V secolo a.C. da Pompei) situata dietro di lei.
Napoletano per nascita invece il compositore E. A. Mario di cui sono state eseguite “Presentimento” e “Canzone appassiunata” Molti ricordano il Maestro, che non amava definirsi tale, soprattutto per la sua celebre composizione “La canzone del Piave”, canzone che valse all’autore la gratitudine del generale Armando Diaz, il quale lodò quella canzone capace di incoraggiare i soldati italiani “più di un generale”.
Daniela Del Monaco ha raccontato però che molte altre composizioni di E. A. Mario furono cantate ed eseguite durante la prima guerra mondiale, in particolare nel campo di prigionia di Matthausen, e tra queste vi è “Presentimento”.
Naturalmente non sono mancati celebri brani di autore anonimo come “Jesce Sole”, dal valore e potere propiziatorio e il “Ritornello della lavandaie del Vomero”.
Il brano viene unanimemente considerato il più antico canto della penisola meridionale.
Vi sono molti testi di questo canto popolare, il più antico è un frammento datato 1400 e conservato nel Museo Nazionale di Parigi, e pubblicato da Ettore de Mura nella sua Enciclopedia della Canzone napoletana; un testo differente è invece riportato da Basile nell’introduzione alla Quarta Giornata del suo “Lo Cunto de li Cunti”.
“Lu Cardillo” (XVIII) canzone popolare narrante l’amore non corrisposto, di cui il messaggero è un cardellino altro simbolo tipico della città di Napoli.
Ultimo personaggio di questa notte napoletana è stato Salvatore Gambardella che incarna a pieno la contraddizione della canzone partenopea, scrive infatti il maestro Grande: «nelle canzoni la fusione tra poesia e musica raggiunge talvolta esiti altissimi, paragonabili a quelli dei lieder tedeschi e delle romanze da camera italiane. Ma pur apparentandosi a queste forme, la canzone napoletana classica conserva una sua autonomia; in sostanza fu colta nello stile, ma popolare nei sentimenti e nelle tematiche […] Ci rendono partecipi della maniera in cui quegli uomini e quelle donne vestivano, conversavano, corteggiavano, sognavano, pregavano…»
Ecco dunque Gambardella, un umile garzone di bottega ma con la fortuna di avere un mastro appassionato di musica che gli insegna anche la musica.
Sempre nella bottega il casuale incontro con il poeta Gennaro Ottaviano che aveva portato i versi di “O marenariello” perché fossero musicati; ed è proprio questa la composizione che abbiamo ascoltato.
L’esibizione è stata un successo, il pubblico è accorso numero tanto da dover restare in parte in piedi, situazione scomoda ma impreziosita dalla possibilità di passeggiare per il giardino storico e le sale adiacenti riuscendo comunque a sentire il concerto.
I due artisti sono stati impeccabili e coinvolgenti capaci di rendere ogni brano in maniera filologica e trasportando gli ascoltatori di volta in volta nelle varie epoche.
Emma Amarilli Ascoli
Foto di Emanuele Ferrigno