Le origini del mito della sirena Partenope non sono certe e univoche o meglio esse univoche non sono state nel corso dei secoli, poiché di volta in volta il mito ha assunto funzioni consolatorie di un presente di sottomissione patito da Napoli, di vanto di fasti per dinastie dominatrici o di mera celebrazione dei potenti di turno.
E’ comprensibile, quindi, che quella che rimanda alla leggenda omerica che vede Partenope insieme con le sorelle Leucosia e Ligea, sia la mitogonia di elezione in epoche di sudditanza, come nel primo ‘500.
In quel periodo vantare origini che affondassero nell’antichità ellenica permetteva di generare nostalgie di un passato glorioso che potesse opporsi al sentimento di frustrazione indotto da una condizione di sottomissione.
Le Sirene giocano un ruolo fondamentale, ritagliandosi una posizione diremmo di proscenio nell’estetica pitagorica, i cui custodi più severi e fedeli sono stati i filosofi acusmatici, assertori di enunciazioni apodittiche, nel novero delle quali spicca la seguente che ritroviamo in “Vita di Pitagora” di Giamblico:
«L’oracolo di Delfi, ovvero la verità è costituita della Tetrade, ovvero dall’armonia nella quale sono le Sirene»
Plutarco, in “Quaestiones convivales”, citando Ammonio l’Egiziano, ci viene incontro risolvendo l’ambiguità di ruolo delle Sirene, ora tratteggiate come creature del bene e ora temute come espressioni del male o della morte:
«Quanto alle Sirene di Omero, lo spavento che ci incute il loro mito non ha fondamento; al contrario anche questo poeta ci ha fatto intendere simbolicamente una verità, precisamente che il potere della loro musica non è disumano e funesto; nelle anime che hanno lasciato questo mondo per (…) questa musica suscita l’amore per le cose celesti e divine e l’oblio delle cose mortali. (…) Qui sulla terra una sorta di debole eco di quella musica ci raggiunge e, attraendo le nostre anime con il potere delle parole, suscita in esse il ricordo di quello che hanno sperimentato nella vita precedente.»
Il Medioevo è stato un periodo in cui l’oscurantismo imposto dalla Chiesa e il prevalere di temi cavallereschi nelle arti ha relegato in un angolo il mito delle Sirene.
E’ nel XVI secolo che Giovanni Pontano (Spoleto, 1429 – Napoli, 1503) e Jacopo Sannazaro (S.Mango Piemonte (SA), 1457 circa – Napoli,1530) forniscono ai circoli nobiliari napoletani, che associavano esponenti di una classe esautorata dal dominio vicereale dopo il tramonto della dinastia aragonese, una narrazione di origini semidivine e artistiche della fondazione di Napoli.
Va detto che in quegli anni ai nobili era interdetto l’uso delle armi e la pratica di tutte quelle attività ludiche a carattere cavalleresco in qualche misura connesse con discipline militari o belliche, come l’equitazione, i giochi e i tornei.
La limitazione produsse un riversamento di risorse intellettuali, e di primo ordine, verso le arti liberali, la letteratura e la musica prima tra tutte.
Viceversa, un secolo dopo, nel trentennio del viceregno austriaco (1707-1734), caratterizzato da generoso mecenatismo, Partenope si dota di corona, come simbolo di potere, che condivide con Sebeto, divinità fluviale, sposo della sirena e con lei genitore di Napoli.
La coppia mitologica diviene alter ego di quella vicereale sul trono, la cui legittimazione necessita di un’aureola di mito che la nomina da Vienna non è in grado di accendere.
In epoche più tarde si assisterà a mescolanze di caratteristiche della Sirena, che assumerà persino una dimensione di santa cristiana, con un Virgilio, di dantesca memoria, che si incarica di guidare e assistere Partenope, senza abbandonare le proprie prerogative di Mago, che il poeta si era guadagnato presso i napoletani.
Lo scrittore francese Dominique Fernández nel suo romanzo finto-storico “Il Porporino”, individua nella origine da una sirena suicida in seguito al fallimento della seduzione di Ulisse, un precostituito destino perdente per Napoli.
Partenope, Leucosia e Ligea, secondo il poema omerico, avevano tentato di sedurre l’astuto Odisseo puntando sul tema della conoscenza e dell’adulazione; esse infatti avevano cantato all’eroe di Itaca le gesta guerresche e amorose che lo avevano visto trionfatore.
La conoscenza concessa gratuitamente, senza speculazione intellettuale avrebbe rappresentato una mortificazione della creatività di un eroe che aveva rinunciato all’immortalità fisica, offertagli da Calipso, per inseguire quella di eroe mortale nella memoria.
Ma qui interviene un fattore forse non sufficientemente indagato: le sirene tentano di sedurre cantando di battaglie e di amplessi. Non stanno forse ponendo una prima importante pietra nella costruzione di una cultura del dramma in musica? E come non riflettere sull’allegoria di morte e resurrezione contenuta nella leggenda di.una Sirena che fonda una città, ne è utero e protettrice, oltre che simbolo, e che così tanto si presta a reinterpretazioni in chiave cristiana?
Ecco che Partenope, si suicida sugli scogli di Megaride, laddove anche Virgilio compirà riti magici, ma lascia in eredità il germe del melodramma e della commedia in musica.
Di chi fossero figlie le Sirene, atteso che esse fossero destinate o condannate alla verginità anche dall’anatomia sui generis e quindi nullipare, è materia controversa, come tutto quanto ruoti intorno a Napoli, tra magie e riti pagani cristianizzati.
Iniziamo dicendo che nell’iconografia vasaria della Grecia e della Magna Grecia, le Sirene sono raffigurate come esseri per metà uccello e a metà donna, dotate di ali, quindi, ma anche di mammelle e per lo più queste figure mitologiche si trovano in relazione con la morte, in vasi e dipinti funerari.
Padre certo, madre incerta, si direbbe per queste creature; infatti se la paternità sembra essere attribuibile ad Acheloo, divinità fluviale, la maternità è contesa da una delle Muse: Melpomene (colei che canta), oppure Calliope (dalla bella voce) e meno probabile Tersicore (la musa della danza).
La discendenza da una Musa spiegherebbe l’abilità nel canto, ma sappiamo che la genealogia non conferì alle sirene l’impunità per l’avere sfidato proprio le Muse nell0arte del canto.
Altra versione porterebbe a individuare in Gea, la Terra, come madre delle Sirene, tramite la fecondazione con il sangue sempre di Acheloo.
Più poetico è lo stato di famiglia che in epoca tarda Ovidio redasse per le creature dal canto ammaliatore: esse sarebbero state delle ragazze mortali, compagne di Persefone che vengono punite per la discesa nell’Ade alla ricerca della regina.
La trasformazione delle braccia in ali, in questo caso, sarebbe stata una facilitazione per consentire alle ragazze di volare e di perlustrare dall’alto.
Le Sirene asservite a Persefone assumono il ruolo di protettrici dell’Ade dall’ingresso di mortali; Orfeo, semideo, invece, potrà varcare le soglie del regno dei morti, ma le creature si vendicheranno e toglieranno Euridice al semidio cantore.
Infine a Platone si deve una visione di armonia cosmogonica, ponendo otto di esse su altrettanti cerchi, secondo il racconto di Er di ritorno dal regno dei beati.
Il medioevo cristiano trasforma le sirene in creature marine, dal corpo pinnato, ma la narrazione del suicidio per annegamento resta stranamente in vigore, non ponendosi alcuno il dubbio circa la possibilità che una creatura mezzo pesce potesse annegare se non per…metà.
Le origini elleniche, invece, raccontavano di tombe di Parthenope e di giochi funebri ogni cinque anni a Neapolis, con tanto di gare sportive e canore in onore delle due divinità locali Sebeto e Parthenope.
Durante il periodo bizantino il legame con le origini elleniche si rafforzò e si arricchì di nuove leggende.
Nel periodo angioino, come testimonia Giovanni Boccaccio, a Napoli, che nel 1350 circa parla di Sirene figlie di Acheloo nel De genealogiis deorum gentilium.
Ma è con l’Arcadia, come si è detto, che il mito si arricchisce di nuove funzioni in chiave consolatoria e nostalgica, benché identitaria.
Lungo l’intero seicento le “Feste di Posillipo” hanno per protagonisti d’obbligo le Sirene e Sebeto e musica e letteratura di corte abbondano di esempi in cui i personaggi mitologici partecipazioni ad azioni che presentano chiari riferimenti alla cronaca coeva che non sempre assurgerà a storia,
E’ così che mentre ancora facilmente decodificabili sono le allegorie della rivolta di Masaniello o dei vari incoronamenti reali e vicereali, altri eventi, ancorché divertenti e meritevoli per gli spettatori illustri del tempo, oggi rivelano quasi unicamente la fatica di parti di fantasia non proprio spontanei.
Nelle feste di corte troviamo Sirene interagire con Muse e divinità ellenico-romane, ma quello che assume rilevanza per lo studioso è il contributo dei massimi compositori del tempo, per ciascuno dei quali vantare di avere musicato una scena o anche solo un’aria di una pantomima inserita una festa vicereale, rappresentava un eccellente viatico curriculare per candidarsi a offrire i propri servigi a titolo (quasi) permanente ad un nobile di rilievo.
Va tuttavia fatto rilevare come a Napoli la vita musicale nel XVII secolo fosse concentrata quasi esclusivamente nelle residenze dei regnanti; la circostanza è strettamente connessa con la relativa liberalità della corte, rispetto alla rigidità che caratterizzava, ad esempio, il clima culturale nelle stanze del Papa, atteggiamento che induceva i potenti romani e i principi della Chiesa a dar vita a salotti privati in cui si potessero violare i divieti pontifici, primo tra tutti, quello del teatro musicale e del canto delle donne.
Il XVII secolo si chiude con un vero monumento al mito della Sirena: La Pertenope, musica di Luigi Mancia (Manzo) su un libretto di Silvio Stampiglia che avrà una fortuna tale da essere musicato, con piccoli interventi, da decine di musicisti per oltre un secolo: Sarro, Vinci, Hasse, Handel e tanti altri.
Sarro, musicista oggi pressochè ignorato, godeva agli inizi del ‘700 di tale reputazione da essere prescelto per la composizione che avrebbe inaugurato il più grande teatro della storia, ovvero il Teatro San Carlo di Napoli in quel 4 novembre, giorno onomastico del sovrano Carlo III, dell’anno 1737 con l’opera Achille in Sciro su libretto di Pietro Metastasio.
Ma è significativo che la fama di Domenico Sarro (Trani,1679 – Napoli,1744) si sia espansa proprio a partire da quell’opera dedicata a Partenope; la corenza formale non eccelsa di quella composizione indusse un altro grande compositore, Leonardo Vinci (Strongoli, 1690 – Napoli, 1730) a introdurre in essa nuovi brani chiusi, oltre che rivederne i recitativi e a realizzare, come in uso del tempo, gli intermezzi buffi tra i tre atti dell’opera seria del Sarro,
Tale fu il successo dell’opera del 1699 che il libretto venne ripreso da compositori di tutto il mondo, se è vero che oltre che da Antonio Caldara, Partenope ricevette attenzioni pentagrammate da Manuel de Zumaya, che rappresentò la partitura a Città del Messico nel 1711 !
Domenico Sarro si interessò al soggetto nel 1722, portandolo in scena anche nell’anno seguente, al Teatro di San Bartolomeo. Non era una circostanza così frequente che un’opera venisse ripresa.
Nel 1724, Partenope approdò persino a Roma, al Teatro della Pace; nella città eterna si trovava temporaneamente Leonardo Vinci, al quale venne commissionato, probabilmente, un adattamento di Partenope per il gusto del pubblico romano.
Quando a Venezia venne chiesto al compositore calabrese di presentare una nuova opera, Vinci, memore dei successi della Partenope di Sarro, rivolse la propria attenzione al libretto di Stampiglia.
Una serie di circostanze, ben riportate da Fabris, portò a fare assumere il titolo di “Rosmira fedele”, prima fra tutte la partecipazione, nel ruolo del nuovo titolo, della celebre Faustina Bordoni, che avrebbe sposato il compositore Hasse, la quale a Napoli aveva interpretato Partenope e che nella città veneta si trovò a cantare la parte, più acuta e, verosimilmente più adatta a mettere in evidenza squillo e potenza,· di Rosmira.
Come non condividere l’ipotesi di Dinko Fabris che ravvisa in opportunità geopolitiche la ragione di non presentare con un titolo troppo “napoletano” un’opera che rappresentava l’esordio nella città veneta di un· melodramma nato all’ombra del Vesuvio ?
La partitura di Vinci attinge, per quanto riguarda i recitativi, all’omonima di Sarro, ma· anche il coro “Viva Partenope”; altri numeri sono invece autoimprestiti.
Il XIX secolo, se in campo musicale si assisteva ad un lento oblio del mito, quello figurativo vedeva l’affermarsi di Parteropi coronate, le cui immagini, con diverse varianti, comparivano sui marchi degli editori borghesi in epoca borbonica, imprenditori aperti alla modernità delle recenti tecniche di stampa, ma che inseguivano aplomb aristocratici ricorrendo neo-araldiche immagini di improbabili antiche nobiltà attraverso la figura della Sirena.
La scure unitaria abbattutasi sul Regno delle Due Sicilie non risparmiò nemmeno il mito della nascita di Partenope; la nostalgia prevale sull’orgoglio delle origini e musicisti e poeti del ‘900 si ispiano più ad argomenti amorosi con tratti decadenti che a fastii di storia millenaria.
Il diffondersi del verismo porta al centro fenomeni sociali e di massa, ma anche tragedie private di gelosia e di “onore”; così ci imbattiamo in Raffaele Viviani, autentico cantore del nuovo secolo e delle sue sofferenze, del lavoro salariato, della guerra imperialista, dell’abbrutimento della prostituzione, delle guerre senza medaglie al valore combattute nei cantieri, nelle fabbriche e sul mare dagli sconfitti e dai dimenticati dalla cultura del “Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”, esaltata dai primi e subita dai secondi.
Le Sirene torneranno tra i versi di una canzone, ahimè, con il compito di sedurre un primo ministro a stanziare i fondi per realizzare opere pubbliche nella splendida Sorrento, la canzone verrà cantata al presidente del consiglio Giuseppe Zanardelli,alloggiato all’hotel di Guglielmo Tramontano.
Estratto dalla Relazione di Dario Ascoli (Oltrecultura) agli studenti degli istituti salernitani Liceo Musicale “Alfano I” e del Professionale per la Moda “Trani”, nell’ambito del Progetto MIUR “Paesaggi Sonori nella nella Tradizione della Musica Napoletana come modello del Made in Italy”, nell’Auditorium del Liceo Alfano I.
I partner del Progetto sono: Giffoni Film Festival, TDS, Conform, Compagnia Errance, Camera di Commercio Industria e Artigianato di Salerno e Otrecultura.