Cappello a tesa larga, la testa avvolta da bende, grandi occhiali scuri, l’impermeabile calato addosso per nascondere il nulla sottostante: ecco come appare l’Uomo Invisibile quando intende mostrarsi. Gli elementi del suo aspetto, grazie al contributo della cinematografia, lo rendono un’icona inconfondibile dell’immaginario horror, a metà tra uno spettro, una mummia e un agente segreto.
Il personaggio nasce dalla fantasia di H.G. Wells (1866-1946), uno dei padri fondatori della fantascienza letteraria. Celebri romanzi di Wells sono, ad esempio, La macchina del tempo (1895), L’isola del Dottor Moreau (1896) e La guerra dei mondi (1897).
L’uomo invisibile (The Invisible Man) vede le stampe nel 1897, dapprima su due numeri del periodico Pearson’s Weekly, poi come testo autonomo nello stesso anno.
Protagonista della storia è Griffin, un ambizioso scienziato che, nell’Inghilterra vittoriana, riesce a sintetizzare un fluido con cui far scomparire il proprio corpo. Esaltato dalle facoltà di un potere tanto straordinario, ma anche fatalmente incapace d’invertire la trasformazione, l’uomo precipita in una spirale di follia criminale. Alla fine del romanzo, dopo aver progettato d’instaurare un regno fondato sul terrore, Griffin viene linciato dalla folla, e il segreto dei suoi esperimenti muore con lui.
Non c’è dubbio che l’Uomo Invisibile appartenga al pantheon degli scienziati folli, ovvero a quella genia di mad doctor imparentanti col Victor Frankenstein di Mary Shelley, e prim’ancora, con il dottor Faust di Marlowe e di Goethe. Il consanguineo più prossimo a Griffin è, probabilmente, il dottor Jekyll di Stevenson (nel romanzo Lo strano caso del Dr. Jekyll e del signor Hyde, 1884), sebbene lo scienziato di Wells non possegga la profondità introspettiva del collega londinese, anch’egli condannato a scontare le conseguenze della propria infausta scoperta.
Tra gli altri modelli che ispirano Wells, troviamo l’Horla (1887) di Maupassant, dove una presenza immateriale irrompe nella vita del protagonista; e un racconto assai poco noto, L’uomo di cristallo (The Crystal Man, 1881), scritto da Edward Mitchell Page: la prima opera in cui compaia un uomo invisibile, a sua volta uno scienziato.
Ottenuto un grande successo in patria, il romanzo di Wells circola ampiamente all’estero. Da noi lo scrittore Luigi Capuana, caposcuola del Verismo, nonché pioniere della science-fiction italiana, vi fa esplicito riferimento nella novella L’invisibile (1901), dove un insolito caso d’invisibilità ha per testimone il dottor Maggioli, protagonista anche di altri racconti, ironica figura il cui agnosticismo riflette quello dell’autore.
La natura scenicamente complessa del personaggio scoraggia a lungo qualsiasi adattamento cinematografico, e bisogna aspettare un trentennio perché il romanzo venga trasposto per la prima volta. Corre l’anno 1933 quando l’Uomo Invisibile, insieme al Fantasma dell’Opera (1925), al Conte Dracula (1931), alla Creatura di Frankenstein (1931) e alla Mummia (1932), entra ufficialmente a far parte della mostruosa famiglia fondata dalla Universal (a cui si aggiungeranno, in un secondo momento, l’Uomo Lupo e il Mostro della Laguna Nera).
Il risultato è un film innovativo, anzitutto sul piano visivo, non solo per gli oggetti fluttuanti e per le orme che dal nulla vediamo imprimersi nella neve, ma anche per la resa scenica di Griffin (Claude Rains), la cui sagoma immateriale riempie per davvero i vestiti del personaggio. Merito di John P. Fulton, responsabile degli effetti speciali, che impiegando una controfigura avvolta da bende nere, ne sovrimpressiona i movimenti al resto delle riprese. Merito anche di James Whale, già regista del primo Frankenstein (e poi del secondo capitolo, La moglie di Frankenstein, nel 1935), capace di padroneggiare il soggetto con grande abilità e umorismo, ottenendo il plauso dello stesso H.G. Wells.
La negatività di Griffin, sfumata da alcune sequenze al limite del comico, appare ulteriormente attenuata da diverse scelte narrative: a causare il delirio dello scienziato, infatti, contribuisce lo stesso fluido tossico; e poco prima di spirare tra le braccia della donna amata (Gloria Stuart), Griffin giunge persino a condannare con rammarico le proprie azioni.
Il mito assume, da quel momento, la forma più famosa. Iniziano a fioccare i sequel e le riletture, come Il ritorno dell’uomo invisibile (1940, dove il dottor Griffin è interpretato da Vincent Price), La donna invisibile (1940) o addirittura Gianni e Pinotto contro l’uomo invisibile (Abbott & Costello Meet the Invisible Man, 1951), passando per le Avventure di un uomo invisibile (di John Carpenter, che però si rifà ad un romanzo di H. F. Saint, nel 1992), fino alla versione fumettistica firmata da Alan Moore, La Lega degli Straordinari Gentlemen (1999), dove l’Uomo Invisibile milita in una società segreta, per conto della corona britannica, al fianco di altre celebrità letterarie come il Capitano Nemo, Mina Harker, Mycroft Holmes e il dottor Jekyll.
Ciò che unisce la maggior parte di queste opere è la natura ambigua, se non apertamente malvagia, del personaggio, la cui morale delittuosa non rigetta mai la possibilità d’impiegare la violenza per raggiungere i propri scopi.
Nel 2000 esce L’uomo senza ombra (Hollow Man) con la regia di Paul Verhoeven. Film che si fa notare più per la magnificenza degli effetti speciali (sbalorditivi ancora oggi, a distanza di vent’anni), anziché per lo spessore della narrazione.
Lo strapotere scientifico, in assenza di un’etica frenante, e la metamorfosi umana operata mediante la tecnologia, sono temi verso cui il regista olandese (già autore di Robocop) nutre sempre grande interesse; e l’interpretazione di Kevin Bacon, nei panni di uno scienziato dalle dannose manie di onnipotenza, si mostra indubbiamente di buon livello.
Eppure manca un contributo innovativo al discorso, e tutto scade facilmente nel già visto, senza fornire nuove rilevanti chiavi di lettura.
La versione più recente s’intitola, ancora una volta, The Invisible Man (2020).
Originariamente avrebbe dovuto rientrare nel cosiddetto Dark Universe, e cioè in un nuovo ciclo di pellicole con cui la Universal, sulla falsariga della Marvel, intendeva riesumare la tradizionale famiglia mostruosa; ma lo scarso successo ottenuto da Dracula Untold (2014) e da La Mummia (2017) ha sospeso qualunque progetto. La palla è quindi passata alla casa di produzione Blumhouse Productions. Meno male, aggiungiamo noi: la bruttezza dei film summenzionati non lasciava affatto ben sperare per l’Uomo Invisibile, e il venir meno dei progetti iniziali, facendo sfumare il coinvolgimento di Johnny Depp nel ruolo del protagonista, ha senza dubbio garantito maggiore libertà creativa.
Si capisce allora perché The Invisible Man, scritto e diretto da Leigh Whannel, sposti l’attenzione dal carnefice alle sue vittime.
In questo caso abbiamo una donna, Cecilia (Elisabeth Moss), che dopo essere faticosamente scampata a un morboso legame sentimentale, inizia a subire una terrificante persecuzione da parte dell’ex compagno: l’uomo (Oliver Jackson-Cohen), un ricco ingegnere, genio dell’ottica, avendo progettato una misteriosa tuta in grado di nascondere la presenza di chi la indossa, se ne serve per molestare Cecilia. Niente più formule chimiche, dunque, né abiti sospesi a mezz’aria; il sovrannaturale diviene persino plausibile, seppure a livello fantascientifico, in tempi di realtà aumentata e di occhiali virtuali.
L’uso di una tuta sembra inoltre richiamare i tanti supereroi, marveliani e non, visti sul grande schermo negli ultimi anni (forse un residuo dei piani, ormai naufragati, che la Universal aveva per il suo Dark Universe).
Con un budget piuttosto basso rispetto agli standard del genere (appena sette milioni di dollari), The Invisible Man compie una scelta: decide cioè di lavorare per sottrazione e di focalizzarsi tanto sulle atmosfere angoscianti, dove la minaccia è appena suggerita da piccoli dettagli che attuano un disvelamento progressivo dell’antagonista, quanto sull’ottima interpretazione di Elisabeth Moss, alla cui intensità attoriale ci ha già abituato la serie televisiva The Handmaid’s Tales. Non mancano comunque sequenze più dinamiche, dove il montaggio incalzante, la fluidità dei movimenti di macchina (con il ricorso a un paio di long take) e la discreta CGI si bilanciano a vicenda.
Complessivamente lo spettacolo risulta gradevole, arricchito delle valide musiche composte da Benjamin Wallfisch, benché la sceneggiatura, in certi passaggi cruciali, produca falle logiche non indifferenti.
Il vero punto di forza del film consiste, semmai, nell’attualità del tema affrontato: lo stalking. Tra le varie potenzialità del genere horror e fantascientifico, c’è infatti quella di rivolgersi obliquamente al presente: mostri, alieni ed altre creature hanno il compito d’incarnare timori e inquietudini nutrite dalla società, dal pubblico e dagli artisti, a seconda dell’epoca.
L’Uomo Invisibile stavolta non è uno scienziato in anticipo sui tempi, logorato dal suo stesso potere, bensì un vero maniaco, predatore e manipolatore, come spesso se ne incontrano sulle pagine dei giornali.
La classica connotazione negativa del personaggio viene dunque proiettata su quei gravi episodi di abuso che vediamo travolgere mogli e fidanzate (ma anche uomini), e che non di rado sfociano nell’omicidio. Cecilia appartiene a questa categoria di vittime, con la differenza che, sin dall’inizio, le è possibile ribellarsi e lottare coraggiosamente, conquistando il riscatto tanto desiderato, ma non sempre ottenuto, da altre come lei.
E in ciò non appare diversa dalle final girl tipiche dell’horror, ossia quelle eroine capaci di tener testa ai loro aguzzini.
Giunto nelle sale statunitensi a febbraio 2020, The Invisible Man ha incassato oltre sessanta milioni di dollari, per un totale di centoventicinque milioni in tutto il mondo. Un indiscutibile trionfo, se si pensa al budget di partenza. L’uscita italiana era prevista per il 5 marzo, ma a causa dell’epidemia di Covid-19, il film è stato distribuito direttamente in modalità video on demand.
Emanuele Arciprete
THE INVISIBLE MAN (L’UOMO INVISIBILE)
Voto: 7/10
Anno: 2020
Paese di produzione: Stati Uniti d’America
Soggetto: H.G. Wells
Regia e sceneggiatura: Leigh Whannel
Fotografia: Stefan Dusho
Montaggio: Andy Canny
Musiche: Benjamin Wallfish
Costumi: Emily Seresin
Scenografia: Alex Holmes
Interpreti: Elisabeth Moss, Oliver Jackson-Cohen, Aldis Hodge, Storm Reid, Harriet Dyer, Michael Dorman
Genere: Horror