L’opera musicale esiste in quanto rappresentazione di sé stessa; se l’affermazione può apparire tautologica, riflettiamo come una performance non sia mai uguale a sé stessa, pur restando riconoscibile, ma arte non è riproduzione, che sarebbe se mai tecnica, essa invece è interpretazione, ed ecco che l’aforisma trova la sua coerenza.
L’opera parla di sé stessa in quanto forma, in quello che Nietzsche e Adorno converrebbero definire l’apollineo, e tuttavia nell’atto di dire di sé, essa rivela il contenuto che, di suo, non ha forma, è dionisiaco.
La critica, per dire di musica deve essere essa stessa arte, costituita dalle due anime di forma e contenuto.
Nel dovere essere essa stessa “arte”, la critica si inscrive nello schema estetico adorniano che Leonardo Distaso, con una forzata ma riuscita schematizzazione, descrive: «Da un lato l’opera deve portare il caos nell’ordine costituito; l’ordine costituito è tale perché fondato sul principio di identità e di chiusura totale, che rifiuta il diverso nella sua assoluta razionalità, derivante dalla cultura dell’Illuminismo»[1]
La critica moderna, ovvero, l’arte della critica, se intende sopravvivere, non deve temere di generare disordine, viceversa deve prefiggersi di perturbare l’ordine, la quiete delle convenienze, e generare disordine, caos.
Con un complesso ragionamento post-illuminista che da postulati cosmogonici giunge a considerazioni di filosofia dell’arte, superando di getto, ma non ignorando e tanto meno svilendo, le scritture sacre a diverse religioni, un noto critico, negli anni ’70 dello scorso secolo, teorizzando di anima come entropia, disordine, energia liberata in un universo qualificato come Tutto, e perciò liberato da coordinate di spazio e tempo, entrambe confluite in quello che egli definisce SempreOvunque, trovava che l’immortalità, che pure egli riconosce in ogni entità “animata” o meno, venisse rappresentata, anche nel linguaggio comune, con quelle opere d’arte capaci di generare entropia, ovvero disordine, energia irrecuperabile, fosse essa legata all’affrettarsi delle pulsazioni, all’irrefrenabile moto di danza, all’infiammarsi dei sensi, alla commozione per un ricordo.
Ed ecco che, dalla teoria fisico-filosofica di un critico, si può fare derivare la ragione d’essere della critica musicale e una via per l’immortalità: emozionare presentandosi a pieno titolo come arte.
Mariapaola Meo