Domenica 15 aprile 2018 al Teatro Genovesi di Salerno è andato in scena “Baci Botte e …Champagne” nell’ambito del Festival Teatro XS Giovani, con la regia di Claudio Massimo Paternò. Lo spettacolo riprende due ‘scherzi’ teatrali di Anton Cechov (definizione dello stesso autore) scritti nel 1888 La domanda di matrimonio e L’orso, con un intermezzo di clownerie di Tristan Remì. Si tratta di quadretti umoristici in cui la realtà è rappresa in un grumo di eventi, altrimenti banali nella loro quotidianità, che grazie alla penna del promettente giovane autore tratteggiano caratteri universali nella loro tragicomica umana condizione. Si racconta della piccola borghesia russa di fine ‘800, fatta di proprietari terrieri e servi fedeli, un’umanità catturata nelle sue contraddizioni, intrappolata tra convenzioni sociali, rimorsi e deboli passioni, claudicante nelle sue imperfezioni. I personaggi hanno una gran carica umoristica, a tratti grottesca, con Nicola di Filippo, Ingrid Monacelli, Emilio Rosolia e Federico Sisani della compagnia Micro Teatro Terra Marique di Perugia che imprimono all’azione scenica un piacevole ritmo ed una buona energia interpretativa. La domanda di matrimonio racconta di rapporti di vicinato apparentemente buoni, in realtà pervasi da antiche ruggini. Tre i protagonisti sul palco. Un possidente terriero, la figlia in età da marito ed un giovane vicino di casa, insicuro e apprensivo, anch’egli proprietario terriero, che la vorrebbe in moglie. Un equivoco farà scoppiare tra i due giovani una divertente ed animata disputa sulla proprietà di un terreno che ognuno rivendica, quindi un altro battibecco sulla presunta superiorità del cane di lei Acchiappa rispetto ad Azzecca, il cane di lui, in un crescendo di ironia e di ridicolo. E dire che i toni non si placano nemmeno quando la donna conoscerà le vere intenzioni del giovane. A vincere sono i toni dispettosi e provocatori ma nonostante i presagi di una complicata felicità familiare nel finale si brinderà al futuro matrimonio, che resta un gran bell’affare. L’Orso è invece, almeno all’inizio, tutt’altro clima. Lei è una vedovella inconsolabile, le fossette sulle guance ha giurato eterno amore al marito, lui è ex ufficiale venuto a bussare per riscuotere un vecchio credito, il loro incontro scompaginerà i virtuosi propositi della donna, mentre Luka il vecchio servo della vedova imbastirà il filo delle sue rinverdite passioni. La contesa intanto accresce l’animosità tra l’uomo, deciso a non andarsene senza avere riscosso i suoi 1200 rubli, e la donna che non intende cedere sul giorno della restituzione, accettando di battersi a duello con l’irascibile tenente. Finirà che alla vista di tanto coraggio l’uomo si invaghirà di lei senza scampo. La macchina scoppiettante del vaudeville, la spessa ironia delle situazioni, il gioco di relazione rivelano da subito i temi cari all’autore, le passioni, il rapporto uomo-donna, le meschinità dell’animo umano, l’attaccamento al denaro e alla proprietà, cui gli attori hanno conferito frenesia e vitalità, in un preciso gioco d’insieme. Lo spettacolo è dedicato alla memoria del regista russo Vsevolod Emilevic Mejerchol’d, arrestato e fucilato nel 1939 per attività antisovietica, il cui ultimo spettacolo nel 1935 fu proprio 33 svenimenti, da tre atti unici di Anton Cechov (una domanda di matrimonio, L’anniversario, L’orso). Il regista Claudio Massimo Paternò, coordinatore artistico del C.I.S.Bi.T. Centro Internazionale Studi di Biomeccanica Teatrale, che organizza laboratori e residenze artistiche a Perugia riprendendo il metodo formativo di Mejerchol’d, non a caso ci tiene molto a questa dedica. Del resto la scelta di legare i due atti unici, senza soluzione di continuità, con un intermezzo di clownerie è certamente un ulteriore espediente per esaltare la leggerezza della commedia, ma anche per sottolineare le qualità artistiche degli attori che padroneggiano i ruoli con buona esecuzione fisica e reazione psichica. La regia ha lasciato margine d’azione, pur in un ambito asciutto e controllato di gestualità e di preciso posizionamento scenico. La recitazione coesa ed il rispetto di un genere farsesco i cui congegni, nonostante la scrittura sia di fine ‘800, restano ironici e divertenti, grazie anche al buon ritmo dello spettacolo, restituiscono al pubblico tutta la tragicommedia dell’amore, chissà perché molto familiare, come una brezza gentile però, catturando consensi e applausi.
Marisa Paladino