La pièce dell’autore statunitense Ira Marvin Levin “La stanza di Veronica” nella traduzione di Luigi Lunari, firmata dal regista Marco Lombardi, è andata in scena il 19 marzo 2023 al Teatro Genovesi, nell’ambito della rassegna Festival Teatro XS Città di Salerno. Il testo, in genere poco rappresentato ma di forte impatto emotivo, è un thriller psicologico vincente, per il perfetto congegno narrativo e per la tensione crescente, capace di inchiodare alla poltrona lo spettatore. La scena di apertura è una stanza buia dove una giovane in sottoveste siede su una sedia di pelle rossa, in una sorta di penombra e con aria assente, che poi lentamente si alza ed esce di scena. A palcoscenico illuminato una donna Mauren (Laura Bozzi) toglie alcuni teli che coprono gli arredi della stanza – come succede per le case arredate e non abitate – suo marito, invece, uomo meticoloso ai limiti della maniacalità, è John Mackey (Aldo Innocenti).
I due sono i domestici di un’agiata e problematica famiglia, i Brabissant, sembra la preparazione di un appuntamento, ed infatti dopo poco arrivano Susan (Margherita Tiesi) matricola dell’Università di Boston e Larry (Niccolò Migliorini), un giovane avvocato che la ragazza ha conosciuto una settimana fa.
Alla ragazza è stato chiesto di vestire per una sera i panni di Veronica, la giovane figlia della famiglia Brabissant dove lavoravano, morta di tisi, per dare un conforto alla sorella minore Cissie, destinata a morire di cancro. Maureen è rassicurante, fornisce all’ignara preda un abito stile charleston color blu elettrico e le dà informazioni sui fratelli Brabissant che erano tre, oltre Veronica di vent’anni, Cissie di diciotto ed un fratello minore Conrad di diciassette anni, oltre che sui genitori che per troppo amore non l’hanno fatta curare non volendosi separare da lei e sul suo medico, l’inflessibile e pignolo dottor Simpson. Il marito John, intanto, maniacale nei movimenti e leggermente sinistro, anticipa l’atmosfera alienata della stanza chiusa di Veronica, prigioniera tra i suoi libri, i suoi dipinti ed i suoi puzzle. Un gioco torbido e pericoloso, più grande di lei, attende l’inconsapevole Susan che accetta, nonostante le titubanze dell’avvocato, per curiosità mista a buoni sentimenti, di diventare per una sera Veronica. L’accettazione, intanto, stravolge le situazioni, l’amabile Maureen, infatti, veste i panni della madre ostile e autoritaria, che intima alla figlia Veronica di non creare problemi, di spogliarsi e andare a letto. Il secondo atto, in un cambio totale di atmosfera, ha ritmi molto serrati, in questa dissoluzione di ogni linearità temporale che ha riportato indietro l’orologio di oltre quarant’anni. Siamo in un dramma familiare pronto ad esplodere, quello che doveva essere è completamente altro. Susan si ritrova prigioniera nella stanza, inutile urlare di essere una ragazza del ’73, anche contro la sua cosciente volontà ora è nella vita di un’adolescente negli anni ’30, infelice ed autolesionista, con due genitori autoritari ed anaffettivi, eppure complici di eventi inconfessabili. Un gioco al massacro che tiene incollato lo spettatore, tra il sospetto di torbidi rapporti tra fratello e sorella e la lucida follia mista a tormento di tutti i sopravvissuti al dramma familiare. Il testo riflette sulla colpa e sulle modalità di espiazione, sugli indicibili elementi che tengono in vita una drammatizzazione, che nel tempo – per vivere o sopravvivere – si rende necessaria a chi rimane. Un gioco simbolico molto preciso e affinato si ripete nel tempo. Veronica non è soltanto Susan, ma piuttosto è una prova tra le altre. La simulazione dei ruoli creano disorientamento e alimenta tensioni, mentre il ritmo incalzante asseconda perfettamente il congegno narrativo, in un crescendo esplosivo di conflitti familiari, arrivando ad un finale spiazzante nella sua cruda verità.
L’attenta e coerente regia di Marco Lombardi asseconda questo preciso congegno narrativo, l’effetto suspence nello spettatore è certo, mentre interessanti giochi di luci ed un appropriato sottofondo sonoro conferiscono ad alcune situazioni un taglio quasi cinematografico. La pièce, dopo un avvio più leggero ma non scevro di intriganti stranezze, con il secondo atto prende un ritmo mordente, come è nel genere, crescendo d’intensità narrativa e recitativa.
ldo Innocenti, Laura Bozzi, Margherita Tiesi e Niccolò Migliorino sono attori ben calati nei personaggi il cui apice interpretativo prende il largo laddove si misurano con il gioco diabolico dell’essere altro dai personaggi iniziali.
Le protagoniste femminili emergono allora con più prepotenza, del resto il testo stesso le consegna a psicologie più complesse e sfaccettate, ma anche disturbate e incapaci di sentimenti autentici, nonché pronte a soluzioni estreme, di cui non diremo apertamente, lasciando alla curiosità dello spettatore.
Tutto pur di reiterare, in una sorta di bolla emotiva, la dimensione disfunzionale del proprio essere. Lo spettacolo ha pienamente convinto, ed a rinforzo positivo anche la coerenza d’insieme e la cura nell’allestimento hanno giocato una parte positiva che vogliamo sottolineare.
Marisa Paladino