Si è inaugurata la stagione lirica 2020-21 del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino con “Rinaldo” di G. F. Händel andato in scena il 7, 9, 10 settembre, con ultima recita prevista il 13 in pomeridiana (15:30), sotto la direzione musicale di uno tra i più noti specialisti della musica antica Federico Maria Sardelli. Con poche aggiunte di strumenti storici – Giulia Nuti al clavicembalo e al flauto a becco assieme ad Ugu Galasso – Sardelli ha portato la formazione ridotta dell’orchestra del Maggio ad un’esecuzione storicamente informata di pregevole gusto e livello, il cui unico “battimento” è stato quello tra temperamenti nell’aria “Augelletti, che cantate” durante la quale il direttore ha ricoperto egregiamente anche il ruolo del flautino.
Scelta storica anche quella di non attenersi fedelmente al libretto della prima, in scena presso il Queen’s Theatre di Londra nel 1711, ma di riprendere tratti della versione del 1731, quali l’unificazione dei personaggi di Goffredo (Leonardo Cortellazzi) e di Eustazio, suo fratello, e dello slittamento dal primo al secondo atto dell’aria “Cara Sposa” dell’affranto Rinaldo, magistralmente interpretato dal controtenore Raffaele Pe. Il protagonista eponimo del dramma händeliano, ancor più delle splendide voci di Carmela Remigio (Armida) e Francesca Aspromonte (Almirena), ha vinto la tenzone di virtuosismo con gli strumenti a fiato quanto a precisione tecnica di articolazione. La scelta di far seguire l’aria dolente all’ancor più celebre lamento “Lascia ch’io pianga“, ricopre un valore drammaturgico di non poca importanza, sottolinea infatti la tragica scoperta da parte dell’eroe cristiano degli inganni della perfida Armida, che cerca di conquistarlo assumendo le sembianze della bella Almirena. Interpretata da Francesca Aspromonte, la figlia del Capitano Goffredo, è stata applaudita in numerose occasioni per la sua bravura, applausi che ovviamente non sono mancati a corollario dell’aria che più di tutte ha reso celebre quest’opera, aria nella quale si è distinta per il gusto nella ripresa variata del lamento. In netto contrasto con lo stile che caratterizza il personaggio di Almirena sono le virtuose melodie della maga regina di Damasco che hanno preso vita attraverso la voce e la presenza scenica di Carmela Remigio la quale ha dominato il palcoscenico con l’aria “Vo far guerra e vincer voglio” conclusasi tra scrosciati applausi a sipario ancora alzato. Il terzo atto si è aperto con l’unico cambio di scena ad incorniciare l’incontro tra Goffredo e il Mago cristiano, ormai svuotato di valenza religiosa, ma simbolo di filosofia e rettitudine. Leonardo Cortellazzi, sul trono dei cristiani, ha ben ricoperto il ruolo, che partecipa al dramma soprattutto nei recitativi, motore dell’azione di cui egli si fa carico, ma che non è privo di arie di ampio respiro e coloratura come “Sovra balze scoscese e pungenti” che apre l’opera. Al fido Goffredo si contrappone il malvagio Argante, affidato alla profonda voce di basso di Andrea Patucelli, la cui perfidia, sottolineata da colori di lui e costumi, e l’inganno danno avvio al dramma. Sul gioco di inganni si è spesa bene la regia, affidando a due figurazione la rappresentazione scenica delle arpie e delle sirene, ingannatrici per eccellenza, impegnate in movimenti sinuosi ed innaturali al canto, lasciando libere nell’espressione vocale Marilena Ruta e Valentina Corò collocate nel golfo mistico e che completano un cast di elevato livello William Corrò, nei panni del Mago Cristiano, e Shuxin Li, in quelli dell’Araldo.
La regia di Pier Luigi Pizzi, che ha curato anche costumi e scenografia, è stata minimale ma di grande effetto, nonché quasi a prova di distanziamento, anche se le motivazioni sono state di natura evidentemente artistica più che di prevenzione, dal momento che si tratta di un allestimento già apprezzato in passato in teatri di altrettanto pregio. I personaggi händeliani sono stati posti su piedistalli artisticamente decorati, dalle forme di cavalli, imbarcazioni, carri demoniaci e troni, mossi da una numerosa e valida squadra di figuranti speciali grazie alla quale il dramma ha preso vita. Impreziositi da mantelli di stoffa leggera anche i costumi – dei quali risaltava la simbologia dei colori e l’abbinamento tra personaggi – sono diventati parte della scenografia, volutamente scarna affinché risaltassero le figure mosse da un vento, allegoria del fato, che tutti e tutte guida. Pur con un allestimento moderno questo Rinaldo si pone in continuità con il pensiero dei suoi autori settecenteschi, non solo di Händel ma specialmente dei librettisti: Giacomo Rossi ed in particolare Aaron Hill, il quale curò anche la scenografia della prima londinese. L’Inghilterra infatti chiedeva a gran voce che ci si staccasse dall’egemonia dell’opera italiana e dai suoi castrati e con quest’opera furono accontentati: fu realizzata infatti un’opera talmente ricca di effetti scenici spettacolari e dalle sonorità originali – basti pensare al ruolo dei fiati ma sopratutto alle toccate del cembalo nell’aria finale del secondo atto “Vo far guerre e vincer voglio” – che non si ebbe di che lamentarsi della presenza del celebre Niccolò Grimaldi nei panni di Rinaldo e del testo di tradizione prettamente italiana. Allo stesso modo, e non per mero patriottismo, sono stati apprezzati tutti gli interpreti vocali e strumentali raggiungendo, nella serata del 10 settembre, i dieci minuti di applauso a chiusura di sipario
Emma Amarilli Ascoli
Foto di Michele Monasta