Questo Fidelio bolognese di Giovedì 14 Novembre ci riporta all’opera in grande Stile dopo la consueta interruzione estiva. Questa coproduzione del Teatro Comunale di Bologna con la Staatsoper di Amburgo è riuscita a produrre veramente un ottimo spettacolo, oltre le iniziali aspettative.
Regia e scenografia, coadiuvati da una sobria direzione orchestrale, sono un’impalcatura così solida e ben congegnata da tener assieme e mascherare le piccole sbavature di questo spettacolo, regalando allo spettatore in ogni momento il piacere della visione e dell’ascolto. Mica Poco.
Il parallelismo con la caduta del muro di Berlino porta di certo la scelta ad un passo dal ciglio del precipizio della banalità. Ci saremmo anche aspettati un bel capitombolo verso quella retorica che tanto piace a chi (in fondo) non piace l’opera. Invece – e lodiamo ogni padreterno per questo – di banale e retorico non abbiamo visto nulla.
Il rischio – concreto – rende doppio merito a Georges Delnon. In fondo, la vicenda non è delle più complesse e sfaccettate. Rocco è un burocrate impiegato di una soprintendenza tirannica, vuole solo che la figlia sia felice. Viene tratteggiato come un uomo semplice, ligio al dovere a cui poco importa se il suo compito lo porta a compiere atti spregevoli. La figlia – Merzelline – vuole un matrimonio da favola al punto di non accorgersi che il futuro marito altro non è che una donna (Lenore) sotto mentite spoglie. Ma si può?
Eh, già! Perché Lenore ha dovuto escogitare un travestimento per salvare il suo Florestan, eore finito in prigione perché contrario al cattivone di turno Don Pizarro. Poi c’è Don Fernando, politico Giusto che viene a riportare Ordine e Giustizia e Pace. E vissero tutti felici e contenti. Quasi tutti, perché Jaquino voleva Merzelline… chissà se alla fine… gutta cavat lapidem.
Insomma, la storia sarà un po’ banale ma la sua semplicità, in fin dei conti, è un ottimo contenitore per quel messaggio di pace universale tanto caro a Beethoven. La rappresentazione bolognese, affida alle frasi di Georg Büchner proiettate negli intermezzi su un fondo nero il compito di attualizzare e contestualizzare il messaggio critico verso tutti i governi autocratici.
Veramente azzeccate le scene di Kaspar Zwimfer. La vicenda si svolge in casa di Rocco, un ampio e minimale salone vetrato di gusto tedesco da cui si scorge l’esterno; al suo interno solo un pianoforte, la scrivania dell’impiegato con la macchina da scrivere e un tavolo da pranzo.
Tutta questa ampiezza viene riempita da altri frammenti scenici. Parallelepipedi che emergono dal muro e ci mostrano il retroscena di tanta agiatezza. Il contrasto tra le prigioni, i loculi, le torture e la vita agiata dell’impiegato di regime viene proposto in modo suggestivo, moderno e mai retorico.
La direzione di Asher Fisch è asciutta e mai magniloquente. Chi si aspettava un’Overture pomposa sarà rimasto deluso ma chi – come lo scrivente – ama le sfumature e i passaggi tenui di colori musicali con cui si sviluppa il percorso emotivo avrà sicuramente apprezzato.
Passiamo alle voci. Se la Leonore dalla vocalità solare di Magdalena Anna Hofmann è stato l’astro di questa rappresentazione, domando in scioltezza una parte complessa, l’atipica Marzelline di Anna Maria Sarra è stata una bellissima scoperta. Grande personalità, solide doti vocali e una presenza importante non ce la faranno dimenticare. Insomma, se Fidelio fosse stato veramente un uomo forse ci avrebbe fatto più di un pensierino.
Fortunatamente non è andata così, altrimenti chi avrebbe salvato un Florestan che non si salva da solo? Daniel Frank, insomma, non ha lasciato il segno. Né nel bene, né nel male.
Un po’ impacciato ma più che sufficiente il Rocco di Petri Lindroos, mentre è piaciuta l’interpretazione grottesca Del Pizarro’ sturmtruppen di Lucio Gallo. E Jaquino? Non ce ne voglia Sascha Emanuel Kramer, ma siamo d’accordo con Merzelline a non sceglierlo, non per demerito ma per mancanza di meriti.
Per le parti corali – ormai – potrei fare un copia e incolla dalle recensioni precedenti. Il coro diretto da Alberto Malazzi si è ben disimpegnato nelle rare occasioni in cui è stato chiamato in causa.
Applausi meritati per tutti. Se la stagione 2019 è solo un preludio di premesse, sarà un gran 2020 per il TCBO.
Ciro Scannapieco