Sabato 19 (ore 20,30) e domenica 20 (ore 18) novembre 2016 , al Teatro San Carlo di Napoli si è esibito il Maestro Daniel Barenboim in un recital pianistico con musiche di Schubert, Chopin e Liszt. Sono state due serate davvero speciali sia per il pubblico napoletano, che ha celebrato con un tutto esaurito l’attesissimo Maestro, sia per lo stesso Barenboim che ha potuto finalmente esibirsi sul Palco del San Carlo negatogli per la giovane età nel 1956 a conclusione del Concorso Casella da lui vinto.
Ma al premio trasformato in semplice riconoscimento sono susseguiti molti altri riconoscimenti in campo musicale e non solo.
Nato a Buenos Aires nel 1942 da genitori ebrei russi immigrati, Daniel Barenboim inizia lo studio del pianoforte prima con la madre e poi col padre. A sette anni dà il suo primo concerto ufficiale e dai dieci anni cominciano le tournées in tutto il mondo. Debutta come direttore nel 1967 ottenendo successi in tutto il mondo. È Direttore Onorario a vita della Chicago Symphony Oprchestra e della Staatoper Unter den Linden di Berlino. Ha ottenuto riconoscimenti ed onorificenze, ben più numerosi di quelli citati, non solo in campo musicale, il Maestro è anche molto attivo politicamente ed ha a cuore la situazione conflittuale del Medio Oriente tanto da aver fondato nel 1999, assieme al Professor Edward Said, il workshop West-Estern Divan che ogni estate invita giovani musicisti d’Israele e dei Paesi Arabi a lavorare insieme in orchestra creando così un dialogo tra le diverse culture. Per questo progetto è stato premiato con la Medaglia Buber-Rosezweig (2004) ed è stato nominato Ambasciatore delle Nazioni Unite per la Pace.
Dopo questi doverosi cenni biografici per rendere idea della grandiosità della Persona oltre che del Musicista che è Daniel Barenboim torniamo a parlare del recital per pianoforte eseguito dal Maestro.
Gli eventi si sono aperti con due sonate di Schubert la D537 in la minore e la D959 in la maggiore per la serata di sabato mentre nel pomeriggio di domenica la D575 in si maggiore ha preso il posto della Sonata in la minore.
In ogni occasione dunque una Sonata per ciascuno dei due gruppi in cui vengono divise le Sonate di Schubert, scelta stilistica che il maestro Barenboim aveva già fatto per l’integrale di Beethoven. Eppure la D575, pur essendo stata composta lo stesso anno (1817) della D537, è molto più simile per contrasti dinamici e tonali alla D959 di undici anni successiva. Il motivo è semplice: nei quattro mesi che separano le due sonate del 1817, Schubert scrive altre quattro Sonate, tre Scherzi e due Allegri.
In tutte le Sonate sono in ogni caso evidenti temi e tecniche compositive rintracciabili anche nella produzione cameristica, liederistica e sinfonica.
A riaprire metaforicamente il Sipario, purtroppo assente, la Ballata n° 1 in sol minore op. 23 descritta dallo stesso Barenboim come una passeggiata: “In francese si dice ‘on va à ballader’, a fare una passeggiata. In questo, il pezzo ha una relativamente libera struttura che riflette ciò che noi possiamo vedere in una passeggiata immaginaria.”
Chopin fu il primo ad attribuire il termine “ballata”, mutuato dalla letteratura, in linea con gli ideali romantici, ad un brano esclusivamente strumentale.
La Ballata in sol è la prima di quattro e come le altre tre ha una struttura libera; comincia con un’introduzione dal carattere improvvisativo, si apre quindi una sezione melodica dal tratto narrativo che man mano si agita nell’impetuoso secondo tema per poi tornare all’esposizione del primo tema ma con un carattere diverso rispetto all’inizio.
A concludere le serate due brani di Franz Liszt Funérailles, settima delle Harmonies poétiques et religieuses, ed il celebre Mephisto Waltz.
Funérailles risale al 1849 un anno storicamente e culturalmente molto particolare, è infatti l’anno della morte di Chopin ed alcuni hanno ipotizzato che la precisazione “ottobre 1849” come data di composizione fosse una chiara dedica al compositore polacco, come anche il passaggio in ottave. È molto più probabile invece che il brano sia stato dedicato a tre uomini, un aristocratico austriaco e due ribelli ungheresi, caduti nel corso della rivoluzione ungherese cui Liszt non volle prendere parte né posizione. Il brano inizia con un cupo passaggio nell’ottava bassa del pianoforte ad imitare il rintocco delle campagne a morte e con una solenne marcia funebre; segue poi un intenso e profondo “lagrimoso” e una rievocazione musicale della battaglia nella quale impiega il passaggio di ottave che ricorda la Polacca op. 53 di Chopin.
Di carattere letterario-raffigurativo è anche il Mephisto Waltz n°1, cui sono seguiti altri tre valzer, e preceduto dalla Faust-Symphonie. Fra tutti i miti letterali quello di Faust, che vende l’anima al diavolo per ottenere la conoscenza, è senza ombra di dubbio il più caratteristico di tutta la produzione artistica del Romanticismo. La Sinfonia si rifà al dramma di Goethe mentre per il Valzer Liszt si ispira al Faust di Lenau e precisamente all’episodio della danza del villaggio, come recita il sottotitolo (Der Tanz in der Doifschenke). Faust e Mefistofele vengono attratti dalla musica che proviene da una festa di matrimonio in un villaggio e decidono di prenderne parte; Mefistofele strappa un violino dalle mani di un musicista ed inizia a suonare una musica sensuale e demoniaca mentre Faust si allontana nel bosco con una ragazza al canto di un usignolo. Queste due scenari vengono magistralmente messi in musica da Liszt tanto che sembra di assistere davvero alla scena. Con questo Valzer si può dire che la musica si è ormai affrancata da ogni tipo di regola formale divenendo “a programma”; all’interno del brano infatti sono molti i momenti, tra i quali il finale, scanditi non dal ritmo ternario tipico del Valzer bensì da un ritmo binario.
«Non è soltanto l’eccitazione dovuta al pubblico. E’ in tutto e per tutto l’eccitazione di essere capaci di vivere un certo brano da capo a fine senza alcuna interruzione, senza uscirne.” scrive Barenboim nel saggio Paralleli e Paradossi steso a quattro mani con Edward Said, ed è stato proprio “senza interruzione, senza uscirne” che ha interpretato tutti i brani proposti nel recital. Ogni brano è iniziato nel momento in cui il Maestro si è seduto sullo sgabello, ancor prima dunque di poggiare le dita sulla tastiera e la musica ha continuato a vibrare nell’aria ben oltre la fine del semplice gesto fisico che mette in azione la meccanica del pianoforte. I silenzi sono stati interpretati come musica tanto da risultare spesso più profondi e duraturi all’interno dei movimenti stessi che non tra l’uno e l’altro. Ogni gesto al servizio della musica che non ha perso cantabilità neanche nei passaggi virtuosistici più complessi tecnicamente. L’uso magistrale del pedale e del legato ha fatto emergere tutti i temi in una polifonia che definirei in stile orchestrale.
Filo conduttore del concerto è proprio Franz Liszt. Fu lui infatti ad inventare il recital, nonché il primo ad eseguire in pubblico musiche di altri autori, scelta che permise di far entrare nella storia le composizioni pianistiche di Schubert, oscurate dalle composizioni liederistiche e cameristiche dello stesso e da quelle pianistiche di Beethoven.
Diverso invece è il filo che lega Chopin a Liszt il quale scelse il compositore polacco, pianista per antonomasia, maestro del rubato, come modello da cui partire per creare il proprio stile.
Anche nei bis il Maestro ha voluto continuare sulla stessa linea eseguendo il Notturno Op. 27 n. 2 in re bemolle maggiore di Chopin e Parafrasi da Rigoletto di Liszt, sabato, e lo Studio op. 10 n. 4 in do diesis minore di Chopin e secondo tempo della Sonata D537 di Schubert, domenica.
Emma Amarilli Ascoli
Foto Luciano Romano